giovedì 17 novembre 2011

Componenti romane e meridionali nei lavori cosmateschi: riflessioni.

Componenti romane e meridionali nei lavori cosmateschi: riflessioni.

Negli anni 2010 e 2011 ho effettuato diversi viaggi nel Lazio e in Campania alla ricerca dei monumenti dell’arte cosmatesca. Ne ho trovati tanti, conosciuti e meno conosciuti. Ne ho studiato la storia, lo stile, la tipologia e li ho confrontati tra loro e con quelli prodotti da diverse maestranze di marmorari. In questo lungo itinerario cosmatesco ho visto la graduale differenza tra gli stili delle varie opere, assaporando lentamente il passaggio tra le relative componenti stilistiche di maggiore spicco, come quella romana, e quella più trasgressiva, bizzarra, libertina, degli artisti dell’Italia meridionale. In una certa area geografica, posso dire di aver avuto modo di osservare anche una sorta di fusione tra le due culture, probabile segno della necessità, o della volontà dei singoli artisti di travalicare il proprio confine artistico e culturale; oppure di eseguire semplicemente dei lavori ordinati da importanti committenti, magari con la libertà di fondere il proprio linguaggio artistico con quello di diversa provenienza, ed eventualmente assorbirne gli elementi essenziali.

Nei lavori in cui si cercano le radici delle componenti stilistiche dei marmorari medievali, inevitabilmente si riconduce il discorso alle origini del mosaico pavimentale, ricordando che i Romani erano grandi estimatori dei pavimenti marmorei in tutti gli stili musivi, dall’opus alexandrinum, all’opus sectile. E che i Bizantini furono i grandi eredi di quella cultura che fusero con le loro tradizioni cristiane, tramandando l’arte del mosaico all’occidente cristiano per il tramite della scuola istituita dall’abate Desiderio nel 1071, dopo la consacrazione della chiesa dell’abbazia di Montecassino.

La riflessione che vorrei fare in queste pagine, invece, riguarda solo il periodo che produsse l’arte del pavimento musivo dopo la scuola bizantina di Montecassino e le possibili influenze che i suoi discepoli, romani, laziali e meridionali, ebbero a scambiarsi nel corso di tutto il XII secolo.

In particolare, vorrei qui tentare di rispondere ad una domanda ben precisa: se è dimostrato dai monumenti che in alcuni luoghi del lazio meridionale, e probabilmente anche nella stessa Roma, come anche in alcune chiese importanti della Campania, e in Sicilia, si riscontrano tracce, a volte deboli a volte significative, di questo scambio culturale, di quella fusione di componenti stilistiche romane e meridionali, sì che appaiono evidenti se non interventi diretti dei marmorari romani, di certo quello di allievi delle loro botteghe, insieme a quelli di maestranze siculo-campane, quale fu la causa di quella che sembra una brusca interruzione di questo interscambio artistico a partire certamente dal 1200 in poi?

Cattedrale di Terracina. Forti componente stilistica meridionale nel pavimento

Cattedrale di Terracina. Forte componente stilistica romana nel pavimento

Prima di rispondere, tento di cercare almeno alcune testimonianze che possano giustificare la formulazione dell’ipotesi che sta alla base della domanda: cioè dove sono riscontrabili le tracce che testimoniano in modo abbastanza certo una fusione degli stilemi e collaborazioni tra le scuole romane e meridionali.

Tra gli esempi più significativi che mi vengono in mente, ricordo:

- il pavimento della cattedrale di Terracina, dove ho riscontrato chiare tracce dell’arte cosmatesca vera e propria, da me attribuite alla bottega di Lorenzo, che convivono pacificamente con innumerevoli componenti delle scuole meridionali, in particolar modo quelle campane;

- il pulpito del duomo di Fondi, realizzato da un marmoraro romano e le poche tracce del pavimento precosmatesco del battistero del duomo;

- il campanile e il pavimento cosmatesco recentemente ritrovato nel duomo di Gaeta, il primo realizzato da Nicola d’Angelo, il secondo attribuibile ancora alla bottega di Lorenzo, probabilmente a Iacopo;

- il duomo di Segni dove collaborarono non solo i Cosmati Lorenzo e Iacopo insieme ai Vassalletto, ma anche maestranze campane, come testimoniano i plutei oggi conservati nella cappella di San Bruno;

- il portale dell’abbazia cistercense di Fossanova, che testimonia probabilmente forse una delle ultime “incursioni” di artisti marmorari romani nel basso Lazio;

- il pavimento della chiesa di San Menna a Sant’Agata dei Goti dove si osservano cospicue tracce di chiara scuola cosmatesca laurenziana;

- il pavimento del duomo di Salerno che è forse il caso più interessante che assorbe le influenze di ben tre distinte scuole musive: quella cassinese e quella siculo-campana che sono le componenti più forti e ampi tratti di quella romana.

Se si esclude il portale dell’abbazia di Fossanova, realizzato nel 1200, il resto delle opere summenzionate furono tutte realizzate tra il 1130 e il 1185. Come si vede chiaramente il breve elenco precedente non contempla casi che possano testimoniare una significativa fusione tra gli stilemi romani e meridionali riferibili ad una data posteriore al 1185: come mai?

Perché a partire da questa data risulta quasi impossibile trovare dei riferimenti che testimoniano quello che invece dovette essere, nei decenni precedenti, un intenso scambio di arte e cultura tra gli artisti romani e meridionali?


Sant’Agata dei Goti. Chiesa di San Menna. Tracce stilistiche campane (sopra) e romane ( in basso).

Una traccia storica significativa che possa iniziare a illuminarci su una risposta a questa domanda è quella che ci indica un evento della storia del meridione normanno talmente importante da aver potuto influenzare negativamente il felice interscambio culturale.

Come si sa, le opere precosmatesche furono realizzate a Roma e nel Lazio principalmente sotto il papato di Pasquale II e l’influenza delle potenti committenze religiose governavano pienamente le scelte delle botteghe marmorarie romane. Infatti, la più significativa collaborazione tra un papa e una bottega di marmorari a Roma, è testimoniata storicamente dalle committenze di Papa Innocenzo III e i Cosmati Iacopo e figli. Chiunque era nemico del Papa, era simbolicamente nemico anche dei marmorari romani che appoggiavano pienamente il pontefice artisticamente e politicamente.

Se ciò è vero, allora l’avvenimento della morte dell’imperatore Guglielmo II di Sicilia, avvenuta nel 1186 deve considerarsi un evento che può aver influito in modo fortemente negativo sui rapporti di interscambio culturale tra le scuole romane e meridionali. Infatti alla morte Guglielmo II, il vescovo Gualtiero si oppose al Papa, schierandosi a favore della candidature a re di Enrico VI con sua moglie Costanza d’Altavilla, mentre il Cancelliere reale si alleò con il Papa e sostenne Tancredi che divenne re dal 1190 al 1194.

Questi eventi potrebbero aver influito negativamente sulle possibilità che i marmorari romani potessero avere delle committenze nell’Italia meridionale e continuare così quello scambio di influenze che era alla base dell’assorbimento da una parte e dall’altra di quelle componenti stilistiche romane e siculo-arabe che fino ad allora avevano prodotto monumenti grandiosi dell’arte, come le decorazioni della Cappella Palatina a Palermo, o il pavimento del duomo di Salerno, e via dicendo.

A causa dei contrasti tra il Papa e il vescovo Gualtiero, i monumenti musivi saranno realizzati a partire dal 1186 a Roma, come nel Lazio dalle maestranze laziali, attenendosi rigidamente alla tradizione classica romana, eludendo totalmente ogni forma stilistica estranea di influenza meridionale.

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