mercoledì 2 novembre 2011

L'avventura

L'AVVENTURA

Se si vuole, questa pagina può essere interpretata come una piccola biografia dell'avventura cosmatesca in quale mi sono imbattuto ad iniziare dalla fine di agosto del 2010.

L'evoluzione delle ricerche serrate, condotte a ritmo frenetico fino ad oggi, è caratterizzata da alcuni elementi che credo possano definirsi alquanto singolari. La letteratura nazionale e mondiale sulla storia dei Cosmati, ma più genericamente dei marmorari Romani, come anche quelli dell'Italia Meridionale, conta forse meno di una dozzina di opere di rilievo e qualche decina di articoli che furono scritti ad iniziare dalla metà del XIX secolo ad oggi. Più numerosi sono certamente gli stralci ed articoli inclusi in opere enciclopediche, dizionari, opere generiche sull'arte, sull'architettura e sulla storia medievale, ma i libri importanti sull'argomento si contano sulle dita di una mano sola! Per questo basti pensare che in tempi moderni sono stati pubblicati in Italia solo tre libri specifici! Enrico Bassan ne ha pubblicato uno nel 2006, Itinerari Cosmateschi: Lazio e dintorni, e l'architetto Luca Creti, ha pubblicato in due volumi il materiale della sua tesi di laurea: I Cosmati a Roma e nel Lazio, nel 2002 e In Marmoris Arte Periti, nel 2010. A questi sono seguiti i miei cinque libri, scritti nell'arco di un solo anno: settembre 2010-settembre 2011! Il che potrebbe non deporre a mio favore: ma come, in appena un anno 5 libri? In realtà essi rappresentano il risultato di una prima analisi dell'enorme mole di materiale accumulato mese dopo mese, a partire dal settembre del 2011.

La storia conosciuta dei Cosmati è sempre la stessa. Può cambiare di poco, a seconda delle scoperte, rarissime, che ogni tanto si fanno in nuovi ritrovamenti che possono arricchire la scarna cronologia storica della loro vita artistica. Ma le loro opere possono essere viste, studiate ed interpretate in diverso modo. La cosiddetta "architettura cosmatesca", è stata studiata ed analizzata in modo dettagliato e completo dall'arch. Luca Creti nel libro citato sopra, mentre per l'interpretazione, l'analisi e la storia dei pavimenti cosmateschi vi è un solo testo di riferimento: quello di Dorothy Glass, Studies on Cosmatesque Pavements, pubblicato come tesi di laurea nel 1980. Un testo raro, fuori stampa, che si trova solo in due o tre biblioteche in Italia. Il piccolo libretto di Bassan, invece, è una utile guida per chi voglia seguire l'itinerario proposto, ma le notizie sui pavimenti sono sempre molto poche e le analisi si riconducono semplicemente a sintetizzare in poche parole il pensiero di altri autori che in passato si sono occupato dell'argomento. Così, i pochi riferimenti che ho potuto avere nel corso delle mie indagini cosmatesche sono stati i commenti di Anna Carotti e di altri autori all'opera di aggiornamento del celebre libro di Emile Bertaux, L'art dans l'Italie Meridionale, e le poche citazioni di Bassan, nonché alcune linee guida di Creti per quanto riguarda i pavimenti cosmateschi di Ferentino e Anagni (a tal proposito devo ricordare che Creti ha svolto il grosso del lavoro su uno dei monumenti cosmateschi più importanti oggi esistente, cioè il duomo di Civita Castellana di cui al momento non mi sono ancora occupato).

Una parte del libro di Glass mi è arrivato grazie ad una dott.ssa laureanda in architettura interessata al mio lavoro di ricerca sui monumenti cosmateschi di Anagni. Il libro, incompleto, mi è giunto dopo dieci mesi dall'inizio della mia avventura, in un momento di felice transizione da uno stadio iniziale ancora in fase di sviluppo, a quello in cui sarebbero maturate nuove idee che ho potuto verificare proprio grazie al libro della Glass. Data l'importanza dell'opera, citata praticamente da tutti gli autori che si sono occupati di questo argomento dal 1980 in avanti, ho cercato in ogni modo di contattare l'autrice, Glass, pensando che dovesse essere ancora in vita. Infatti, dopo alcuni tentativi, la rintracciai all'Università americana in cui ancora insegna. Grande però fu la delusione, quando seppi che non aveva modo di aiutarmi nelle mie ricerche perchè era ormai da trent'anni che non si occupava più dell'argomento! Così, non mi rimaneva altro che il testo del suo libro.

Intanto, per dieci mesi, prima di conoscere l'opera di Glass, avevo fotografato ed analizzato le opere cosmatesche più importanti che si trovavano nelle immediate vicinanze del mio paese di residenza, Roccasecca. Come in molti altri casi, anche io, all'inizio della mia avventura, ho avuto la fortuna di conoscere una persona speciale il cui aiuto è stato determinante per il buon proseguimento delle mie ricerche: l'architetto Arturo Gallozzi di Cassino che mi ha omaggiato di qualche chilogrammo di preziosa carta fotocopiata di numerosi stralci e articoli, alcuni introvabili, sulla materia, grazie ai quali ho potuto facilmente fare confronti, trovare spunti e redigere i testi dei miei articoli. Tuttavia, sui pavimenti cosmateschi, il libro di Glass rimaneva sempre l'unica opera di riferimento. Così fino al 13 luglio del 2011, ho sviluppato inconsapevolmente il mio metodo di studio e analisi o, se si vuole, il mio personale modus operandi, che alla fine si è rivelato non solo prezioso, ma innovativo, probabilmente proprio perchè nato dal nulla e sviluppatosi sulla scorta della sola esperienza personale. In realtà, non sapevo come procedere. Non vi era un metodo. Non esiste un metodo generale basato su regole matematiche per analizzare i pavimenti cosmateschi. Tutto ciò che ho fatto è stato fotografare ogni dettaglio per analizzare il tutto sullo schermo del computer a forte ingrandimento. La prima conseguenza positiva di questo metodo è stata quella di osservare particolari che nel buio delle chiese e delle cripte erano impossibili da vedere.

Lo studio dei pavimenti cosmateschi di Ferentino e Anagni fu sviluppato da me quasi contemporaneamente ai resti del pavimento desideriano di Montecassino e a quelli dell'alta Campania. All'inizio ho creduto di dover fotografare i dettagli di ogni singolo pattern geometrico dei rettangoli che compongono il pavimento nelle navate laterali e in quella centrale, al fine di poter stilare un repertorio generale dei motivi geometrici dei Cosmati, e più in generale dei marmorari laziali e campani. Alcuni autori, tra cui A. Piazzesi, V. Mancini, L. Benevolo, Una statistica del repertorio geometrico dei Cosmati, in “Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura”, V, 1954, hanno lavorato in tal senso pubblicando un valido schedario di tali motivi geometrici. Dopo pochi mesi, però sono giunto alla conclusione che tale sforzo non riveste un significato particolare per due ragioni: la prima è data dal fatto che nella maggior parte dei casi i pannelli pavimentali sono stati distrutti e ricostruiti, spesso in modo del tutto arbitrario e sommario, nelle epoche successive e ciò costituisce una delle note fondamentali da tenere sempre a conto quando si parla dei pavimenti cosmateschi; la seconda è che tali motivi si ripetono in modo abbastanza usuale e monotono in quasi tutti i pavimenti analizzati. Inoltre, il repertorio geometrico dei pavimenti cosmateschi, non è altro che una ripetizione del repertorio geometrico dell'opus alexandrinum e dell'opus sectile dell'antichità, dai Romani ai Bizantini, dai quali i Cosmati attinsero in modo pressoché totale il loro linguaggio geometrico, incorporandolo nella loro arte e trasformandolo in espressività dalle caratteristiche più autonome, stilisticamente parlando, nella sola caratteristica di riproporre tale repertorio in scomposizioni estremamente più minute, sia per la realizzazione dei pavimenti che degli arredi religiosi.

Le prime volte, quindi, mi sono trovato ad analizzare decine e decine di patterns geometrici creando apposite tabelle che ne riproponevano i motivi confrontandoli con quelli di altri pavimenti. Certamente il confronto più significativo è stato quello tra i patterns dei pavimenti realmente cosmateschi (Ferentino-Anagni), con quello capostipite della basilica di Montecassino e, di riflesso, con quelli che da quest'ultimo derivano stilisticamente (Capua, Sessa, Caserta Vecchia, S. Agata dei Goti...). In appresso, ho smesso di considerare la catalogazione dei patterns dei pavimenti che visitavo in virtù del fatto che molti di questi erano stati ricostruiti e quindi non aveva senso considerare originali dei monumenti frutto della composizione arbitraria di manodopera postuma. Pian piano si andava facendo strada nelle mie esperienze l'idea che i pavimenti cosmateschi non raccontavano la loro storia con sincerità. Cioè voglio dire che essi non si presentano a noi oggi così come furono concepiti realmente nella mente degli artisti Cosmati dell'epoca. Questo per il semplice fatto che non esiste al mondo un arredo ed un pavimento cosmatesco che non sia stato distrutto, manomesso, rimaneggiati, ricostruito, totalmente o in parte, nelle epoche successive al Gotico, specie nel Barocco, con una moda particolare alla ricostruzione e reimpiego di ciò che rimaneva dei veri pavimenti cosmateschi al solo scopo di abbellire le chiese barocche, nella prima metà del XVIII secolo. Questa idea che pian piano si andava sempre più rafforzando e chiarendo nella mia testa, trovava la sua più alta conferma nella constatazione che la maggior parte dei monumenti musivi di Roma e del Lazio presentano esattamente le caratteristiche dovute agli sconvolgimenti a cui essi andarono incontro.

Non che gli altri autori non si fossero accorti o che non avessero fatto caso a quanto sto dicendo. Solo che essi non hanno ben valutato questi eventi di portata storica eccezionale e ciò che hanno significato per i pavimenti cosmateschi a danno della loro storia e del loro studio. La Glass stessa si è accorta che a Roma solo un paio di pavimenti cosmateschi possono essere effettivamente considerati abbastanza vicini a come erano in origine stati concepiti, tuttavia con la riserva degli immancabili restauri, ritocchi, ecc. Uno di questi è il pavimento della basilica dei Santi Quattro Coronati che tuttavia presenta nella sua unitarietà caratteristiche che lasciano supporre una storia più o meno comune agli altri monumenti simili (si veda per esempio l'incongruenza del pavimento nel presbiterio con quello della navata centrale). Nonostante ciò, la Glass non si esime dallo scrivere lunghi paragrafi sull'iconologia dei pavimenti cosmateschi, senza rendersi conto di descrivere simbologie, geometrie, rapporti proporzionali, significati e regole su monumenti che ormai nulla più hanno a che fare con quelli concepiti dai Cosmati. Solo si può intuire, avvicinarsi, presumere, supporre che i maestri romani facessero determinate scelte, ma certamente ha poco senso stare a misurare un quinconce gigante precosmatesco realizzato presumibilmente verso la metà del XII secolo e rapportarlo a quelli più normali di pavimenti cosmateschi eseguiti più di mezzo secolo dopo. L'architetto Luca Creti, autore del bellissimo libro sopra citato In Marmoris Arte Periti, in cui tratta quasi esclusivamente dell'architettura cosmatesca, descrive una misura proporzionale in un pannello pavimentale della chiesa superiore nella cattedrale di Anagni, trovando auree proporzioni geometriche in una figura che nella realtà non esiste. Infatti, il riquadro pavimentale da lui disegnato non corrisponde al reale in quanto nella misura è compreso il largo listello di marmo esterno creato e messo in quel luogo arbitrariamente, come tutto il pannello pavimentale, nel momento in cui quel tratto di pavimentazione fu ricostruito nelle epoche successive.

Queste constatazioni, mi hanno portato innanzitutto a distinguere e focalizzare due periodi specifici e precisi per lo sviluppo dell'arte cosmatesca: il periodo precosmatesco, iniziale, che inizia da Montecassino fino allo sviluppo delle autonomie locali romane e campane, e il periodo cosmatesco che inizia dall'ultimo decennio del XII secolo fino alla metà del XIII in cui i maestri Cosmati della famiglia di Tebaldo e Lorenzo, insieme ad altre botteghe di grande prestigio come i Vassalletto, si distinsero per aver creato quello stile autonomo, seppure derivato dalla classicità antica, che sta alla base della grande produzione cosmatesca dei primi decenni del XIII secolo.

Conseguenza di ciò, è stato che visitando le basiliche romane, mi fu subito chiaro ciò che per gli altri è rimasto sempre un mistero: la coesistenza inspiegabile nella maggior parte dei pavimenti cosmateschi di Roma, di elementi antichi e meno antichi, di componenti stilistiche precosmatesche e più propriamente cosmatesche. Mi era chiaro che i pavimenti di Roma erano stati eseguiti in tempo per le consacrazioni delle relative basiliche, consacrazioni avvenute tutte entro il XII secolo, dai tempi di Papa Pasquale II. Cosa fecero allora i Cosmati nelle chiese di Roma? Nella maggior parte dei casi il loro intervento, sempre su commissione, dovette essere quello di restauro, manutenzione e rifacimento dei pavimenti già esistenti e per vari motivi (incendi, guerre, usura...) in cattivo stato di conservazione. In altre basiliche, ho potuto vedere, laddove non vi è una cronologia testimoniata e verificata da iscrizioni lapidarie o da documentazione storica, la continuazione dello stile di una determinata bottega. In particolare nei Santi Quattro Coronati, ho la forte sensazione che il pavimento sia stato inizialmente realizzato da Lorenzo di Tebaldo, mentre a Iacopo suo figlio, sia stato commissionato un restauro e ai figli Cosma e Luca o forse al solo Luca, la realizzazione del piccolo pavimento dell'Oratorio di San Silvestro nel medesimo complesso religioso, dove si può avere come termine ante quem la data del 1247 in cui l'Oratorio venne consacrato e che andrebbe a costituire cronologicamente l'ultimo lavoro dell'ultimo componente della famiglia dei Cosmati.

E' ancora attuale, perchè ho contestato in mancanza di prove più determinanti, la datazione (erronea secondo me) al VI secolo del pavimento in opus sectile della basilica di Santa Maria Antiqua a Roma. Ne ho discusso in dettaglio con il restauratore del Ministero dei Beni Culturali senza peraltro avere prove determinanti in merito. In mancanza di tali prove, i pochi lacerti pavimentali in opus sectile che sono esattametne identici per stile, caratteristiche tipologiche e di esecuzione alle porzioni simili di pavimento cosmatesco della basilica di San Clemente a Roma, sono, secondo quanto ho potuto constatare dai soli documenti cartacei a mia disposizione e in bianco e nero, da considerarsi opera pavimentale cosmatesca eseguita tra la fine del XII e i primi anni del XIII secolo. Ad oggi non ho avuto ancora un riscontro che dimostri in modo inequivocabile la non validità della mia tesi. A questo si aggiunga che il vero pavimento del VI secolo, ovvero ciò che rimane degli altri strati di litostrato della basilica di S. Maria Antiqua, sono quelli che si rendono in modo evidente del VI secolo.

Questo nuovo modus operandi personalizzato, sviluppatosi da una sorta di forza d'intuito analitico-pratica del modo di osservare le caratteristiche dei pavimenti cosmateschi, mi ha permesso di fare le importanti distinzioni di cui ho detto sopra, e di emendare ipotesi e luoghi comuni inevitabili quando si tenti di descrivere monumenti artistici di cui non si sa nulla. E' ancora la Glass ad essere caduta in errore nelle descrizioni e valutazioni del pavimento della chiesa di San Nicola a Genazzano, ma più genericamente nella distinzione e analisi dei pavimenti che lei stessa definisce "provinciali" per via di caratteristiche non sa spiegare e che invece derivano essenzialmente dalle constatazioni che ho fatto sopra. Il caso emblematico di San Nicola a Genazzano è il più palese di tutti: un pavimento costruito arbitrariamente nel 1426 per volere di papa Martino V, facendo trasportare una piccola parte del pavimento forse originale dell'antico litostrato precosmatesco della basilica di San Giovanni in Laterano, nell'occasione di rifare il pavimento completo, e considerato dalla Glass come il risultato dell'arte povera degli artisti provinciali che volevano imitare i Cosmati romani.

Tali scoperte mi hanno consentito di essere più coraggioso nelle mie interpretazioni e di cercare di guardare ben oltre il solito oltraggio restauratore dell'epoca barocca. Intere porzioni di pavimento furono smantellate e trasportate altrove per ricostruire o abbellire i pavimenti di altre chiese, così come accadde anche per i poveri resti degli arredi religiosi di cui molti plutei di amboni e lastre di transenne presbiteriali sono andati a formare improbabili paliotti d'altare. Così, ho scoperto che ad Anagni, ben due pavimenti "cosmateschi" presenti attualmente in due chiese, di cui una romanica di origine e l'altra barocca, non sono altro che porzioni di pavimento prelevate da quello originale che formava il litostrato della chiesa di S. Pietro in Vineis.

Alla fine del percorso nel basso Lazio che ho completato da pochi giorni, sono giunto alla conclusione che i tre pavimenti cosmateschi presenti in Ciociaria, cioè quello della cattedrale di Ferentino e i due litostrati nella chiesa superiore e nella cripta della cattedrale di Anagni, costituiscono i due monumenti fondamentali più importanti esistenti in Italia per quanto riguarda i pavimenti cosmateschi. Essi, infatti, sono i soli pavimenti accertati di cui quello di Ferentino attestato da documentazione storica e quello della cripta della cattedrale di Anagni è il solo al mondo firmato e datato dai veri Cosmati!! Nonostante essi siano oggi il frutto di rifacimenti parziali, restauri e rimaneggiamenti, tali monumenti costituiscono per noi il modello principale di riferimento al quale è necessario rapportare ogni eventuale confronto, paragone, analisi e descrizione di altri pavimenti cosmateschi di incerta attribuzione.

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