lunedì 24 ottobre 2011

I Cosmati, i micromodelli e il lessico dei motivi

Quando visitiamo una chiesa che ha un pavimento cosmatesco, il nostro stesso passo, per quanto lento, è troppo veloce perchè i ricchi disegni geometrici realizzati in opus sectile e opus tessellatum possano essere analizzati nei dettagli dai nostri occhi. In realtà siamo subito catturati dalla bellezza estetica accompagnata da quel senso di smarrimento che una tale ricchezza di geometria e colori produce nella nostra anima e ci sfugge, in quell'attimo, l'intelligibilità del lavoro stesso che è sotto i nostri piedi a raccontarci una storia millenaria fatta di amore, fede e arte.
Doveva essere talmente naturale nell'XI, XII e XIII secolo quell'arte che il cronista cassinese Leone Ostiense definì quadrataria et musivaria, che non si sentiva il bisogno di scrivere trattati specifici che ne spiegassero le tecniche. Così, nulla ci è giunto di scritto che potesse descriverci il significato, i motivi e "come facevano" gli artefici per la realizzazione dei pavimenti a mosaico in opus sectile. Grazie a questo missing book medievale, si è sviluppata solo a partire dalla metà del XIX secolo e fino ad oggi, quella che potremmo definire una corrente di critica artistica specifica che riguarda proprio la produzione musiva pavimentale e decorativa la quale ebbe i suoi probabili fondamenti medievali nella ricostruita chiesa abbaziale di Montecassino, per irradiarsi poi nell'Italia centro meridionale attraverso una scuola specifica istituita proprio dall'abate Desiderio, approfittando della presenza degli artisti bizantini da lui chiamati a decorare la chiesa del suo monastero.
In mancanza di documentazione storico-scientifica che spiegasse i significati e le tecniche adoperate dalle botteghe di marmorari campane, laziali e meridionali, gli autori si sono adoperati per cercare di estrapolare le maggiori informazioni possibili desunte sulla base delle analisi stilistiche dei reperti giunti fino a noi.
Se Leone Ostiense non avesse redatto la cronaca di Montecassino e senza la necessaria cronologia e genealogia degli artisti, letta dagli studiosi su quel libro di pietra che è l'epigrafia diligentemente raccolta e interpretata fino ad oggi, probabilmente non staremmo neppure qui a discutere di questo argomento, dato che forse avremmo potuto giusto essere in grado solo di distinguere lo stile siculo-arabo da quello romano. Senza le tracce epigrafiche non potremmo parlare di un Magister Paulus e dei suoi figli che diedero vita alla bottega dei Cosmati...così come di tutti gli altri artisti che operarono sul territorio laziale e campano, affiancati a volte dai maestri romani.

Se, quindi, da una parte abbiamo avuto fortuna nell'ereditare dalla storia un patrimonio artistico del quale si è potuto tracciare una cronologia, identificare buona parte degli artefici che lo produssero e classificare i singoli reperti in funzione degli stili e modus operandi di ciascuno dei maestri, dall'altra non possiamo dire altrettanto per quanto riguarda una produzione documentale che possa aiutarci nello studio interpretativo, nell'indagare i significati, le tecniche e la vita quotidiana di coloro che furono i protagonisti di quest'arte medievale.

E' piuttosto recente e relativamente scarsa la letteratura specifica pubblicata in merito alle indagini iconologiche e tecniche dell'arte musiva che generalmente definiamo cosmatesca, con particolare riferimento ai pavimenti in opus sectile e opus tessellatum realizzati tra l'XI e il XIII secolo.

Più in modo specifico, per quanto riguarda uno studio analitico dei pavimenti cosmateschi dell'area laziale, campana e dell'Italia meridionale, le pubblicazioni sono davvero esigue e solo in due o tre casi gli autori hanno pubblicato dei lavori rilevanti riguardanti la classificazione, catalogazione, spiegazione e le tecniche utilizzate dai Cosmati e dai marmorari in generale per la produzione delle opere pavimentali musive.
In tal senso si sono mossi in tempi relativamente recenti F. Guidobaldi e Alessandra Guiglia Guidobaldi, mentre è del 2009 uno dei lavori più importanti sull'opus sectile in riferimento all'arte musiva normanna nell'Italia meridionale, fatto da Ruggero Longo.
Tuttavia, manca ancora oggi un'adeguata lessicalizzazione dei motivi ornamentali delle opere cosmatesche, nonostante sia stata effettuata una giusta interpretazione e classificazione dei motivi geometrici che si possono vedere. Ruggero Longo ha analizzato a fondo le problematiche relative ai motivi geometrici, definendo e distinguendo, sulla base degli studi effettuati anche da autori del passato, il micromodello, il modulo, il motivo, il pattern e l'ornamento.
Nonostante tutto, però, analizzando le varie soluzioni, anche Longo giunge alla conclusione che "un motivo o pattern non può essere definito né attraverso il modulo né attraverso il reticolo geometrico". Questo perchè il modulo semplice che forma il motivo o pattern può essere interpretato dai nostri occhi a seconda di come lo si guarda, a seconda degli effetti cromatici e dalla grandezza della superficie su cui è composto.
In sostanza, dice Longo, esiste un piano, cioè la superficie su cui realizzare il mosaico che va intesa come una intelaiatura in cui a seconda della tessitura che scompone il piano, viene a formarsi la regola per ottenere i micromodelli a partire dai quali si possono avere i modelli semplici, il pattern e il motivo decoratore.
Per i pattern semplici sono state trvate delle definizioni lessicali fin dall'antichità: per esempio, il motivo ad quadratum e il motivo ad triangulum, indicano il primo le sequenze in tessitura orizzontale di quadrati disposti alternativamente paralleli alla tessitura e in diagonale; il secondo una tessitura di linee parallele disposte a 60° con la linea base orizzontale e intrecciate nei due sensi opposti, i cui intrecci vanno a formare esagoni e triangoli.
Tuttavia, il ricco repertorio dei motivi geometrici utilizzati dai Cosmati non ha un suo lessico proprio per mezzo del quale possiamo univocamente definire ogni singolo pattern o modello base.
La famosa "stella cosmatesca" di cui ho parlato diverse volte e che si è soliti incontrare nelle opere dei Cosmati, sia nelle decorazioni degli arredi che nei pavimenti (un esempio classico è la decorazione che corre lungo il perimetro del chiostro della basilica dei Santi Quattro Coronati a Roma) non è altrimenti definibile perchè per descriverla in dettaglio bisognerebbe dire "motivo composto da tre file sovrapposte di tre quadrati di cui i quattro esterni scuri o colorati, quello centrale chiaro e i quattro quadrati centrali scomposti ciascuno in quattro triangoli uniti al vertice". Se prodotto in miniatura esso può essere un micromodello, se prodotto a dimensioni grandi, come nell'opus sectile di ville romane, esso diventa un pattern, se reiterato intersecandosi con il successivo, produce un altro effetto ecc., ma in ogni caso, visto da una certa distanza, l'immagine che coglie il nostro occhio è quello di una stella a otto punte. Basta variare i colori per ottenere un effetto diverso.
Altri pattern producono dei motivi geoemtrici di grande effetto visivo ma che non sono definibili attraverso una immagine comune, semplice da identificare: è il caso dei quadrati inscritti in cui varia solo il loro orientamento rispetto alle linee di tessitura, oppure alle sequenze di tessere quadrate e rettangolari, ecc.
A tal proposito Longo scrive: "avendo colto l'ambiguità e la mutevolezza precipua del lessico, nell'impossibilità di classificare le unità modulari, non resta che catalogare il modello di disegno, il pattern, così come avviene nei repertori grafici elaborati e compilati da Blanchard e Prundhomme".
Ma se la descrizione classifica il modello, essa non ci lascia immaginare come si presenta ai nostri occhi il disegno del motivo geometrico e perciò inefficace a "definire" in parole l'immagine che l'intento dell'artista vuole trasmettere, anche perchè esiste sempre l'ambiguità che il motivo si presenta agli occhi in modi diversi a seconda della prospettiva visiva e dei colori delle tessere.
In definitiva, si può tentare di classificare e catalogare il modello secondo un lessico che richiama la regola per comporlo, ma non descriverlo in modo univoco per l'effetto visivo che esso produce, mutevole, ingannevole, ambiguo, probabilmente intenzionalmente creato in tal modo per produrre l'effetto di smarrimento di chi lo osserva.


Fig. 1. Tratto di decorazione cosmatesca nel chiostro della basilica dei SS. Quattro Coronati a Roma. In questo caso è possibile osservare il micromodello da cui possono svilupparsi altri pattern e il motivo decorativo. Un quadrato orizzontale inscritto in un quadrato diagonale a sua volta inscritto in un quadrato orizzontale che fa da superficie. Segue un primo tipo di "stella cosmatesca" dove un quadrato di base è suddiviso in 9 quadrati di cui 4 scomposti in triangoli. La scelta cromatica determina la figura del modello che viene percepita dagli occhi: una stella a otto punte. In questo modello può variare l'orientamento del quadrato centrale (come nell'esempio che segue la stella seguente a otto punte fatte di losanghe) e la possibilità di intersecare il modello con altri simili.


Fig. 2. SS. Quattro Coronati, Roma. Chiesa, pavimento interno della navata. Motivo denominato storicamente ad triangulum in cui la forma della griglia di scomposizione del piano della superficie determina il modello, ma, come è facile intuire e verificare, non è possibile definire univocamente a parole il motivo geometrico che percepisce l'occhio, mutevole a seconda di come lo si guarda.
Ingrandito così, potrebbe risaltare la forma degli esagoni uniformi, mentre ad una certa distanza ciò che l'occhio percepisce maggiormente è una sequenza di stelle esagonali determinate dalle punte dei piccoli triangoli scomposti. La griglia può mostrare alla visione porzioni autosimili di triangoli che contengono gli esagoni e i piccoli triangoli di cui solo la scomposizione di questi ultimi non dipende dalla griglia di superficie.
Tutto ciò, quindi, non è dovuto ad una costruzione diretta del motivo geometrico, ma solo il risultato della scomposizione del piano di superficie in una griglia di linee che formano un angolo di 60° con la linea base orizzontale e che si intersecano a eguali distanze nei due versi opposti di orientamento. Tale griglia, determina da sola sia la forma degli esagoni che dei triangoli scomposti. Come risulta evidente può risultare quanto meno ambiguo cercare di definire o catalogare questo modello attraverso una descrizione lessicale descrittiva. E' inutile per esempio dire "motivo di esagoni e triangoli", oppure "motivo di esagoni che formano stelle esagonali...", che senza osservarlo direttamente non si capirebbe cosa si vuole intendere. L'unica classificazione possibile è quindi relativa alle caratteristiche della griglia che determina il modello.

venerdì 21 ottobre 2011

Chi erano veramente i Cosmati?


Chi erano veramente i Cosmati?

Può sembrare una domanda stupida, ma non lo è. Lo dimostra il fatto che la maggior parte di coloro che scrivono sull'argomento, specialmente i "non addetti ai lavori", ovvero giornalisti, insegnanti e persone che si occupano della materia solo superficialmente, non fanno alcuna distinzione tra maestri marmorari romani della prima epoca, maestri marmorari laziali, campani, meridionali e con il termine "Cosmati" fanno di tutt'erba un fascio!
Così tutti i pavimenti musivi presenti in strutture religiose dal X al XIV secolo, sono definiti "pavimenti cosmateschi". Forse è tempo che si cominci a fare chiarezza con qualche precisa distinzione. Una l'abbiamo già fatta ed è quella che spiega e definisce la differenza tra il periodo precosmatesco e quello cosmatesco. E siccome essa è strettamente correlata alla domanda con la quale ho intitolato questo articolo, cerco di integrare e completare le necessarie definizioni, distinzioni e cronologie.
Quando Camillo Boito nel 1860 intitolò il suo libro Architettura Cosmatesca, utilizzando forse per la prima volta nella storia il termine "cosmatesca", lo fece con la consapevolezza di riferirsi allo studio di monumenti artistici la cui paternità fu accertata, per un buon numero di reperti, grazie alle epigrafi su cui ricorreva spesso il nome di Cosma, uno dei maestri marmorari, e di altri relativi alla sua famiglia. Dopo un lungo lavoro di interpretazione di dette epigrafi, si è giunti finalmente ad una cronologia e genealogia di questi artisti marmorari romani che può essere considerata più o meno definitiva e corretta.
Dal 1860 l'architettura "cosmatesca" di Boito divenne famosa e creò inconsapevolmente le basi per la definizione di un'arte che sarà in seguito generalmente definita "arte cosmatesca". Ma il termine è riferito espressamente ai lavori effettuati solo da una particolare famiglia dei marmorari romani i cui membri sono stati genericamente definiti e denominati nel tempo "Cosmati".

Chi sono quindi i veri Cosmati?
I veri Cosmati sono i Doctissimi Magistri Marmorari Romani che operarono in Roma e nel territorio del Patrimonio di San Pietro, spingendosi forse anche oltre, la cui famiglia inizia con Tebaldo Marmoraro che inizia la sua opera nei primi decenni dell'anno Mille, prosegue con il figlio Lorenzo, probabilmente dalla metà del XII secolo in poi, e dai figli di quest'ultimo Iacopo e Cosma che sono gli artefici più conosciuti e famosi dei Cosmati, operanti tra il 1185 e il 1231 a cui seguono i relativi figli Luca e Iacopo II, questi detto anche alter, per distinguerlo dal nonno, che forse operarono fin verso la metà del XIII secolo.
Secondo la corretta cronologia dei marmorari romani, è questa l'unica famiglia dei veri Cosmati, o almeno quella cui ci si deve riferire quando si pronuncia il nome dei Cosmati.
Gli altri artisti appartengono ad altre famiglie che operarono parallelamente nello stesso periodo: quella di Magister Paulus (1100) a cui seguirono Giovanni, Pietro, Angelo e Sasso, e poi Nicola il figlio di Angelo e Iacopo, figlio di Nicola. La famiglia di Pietro Mellini, dal 1200, con il figlio Cosma II il cui nome nelle epigrafi è stato spesso confuso con l'altro Cosma gettando così molta confusione e i figli di questi: Iacopo III, Giovanni, Deodato, Pietro e Carlo. Ancora la famiglia dei Ranuccio o rainerius, discendendti da un poco noto Giovanni Marmoraro in cui si distinsero i maestri Pietro e Nicola e i figli di quest'ultimo Giovanni e Guittone, ecc.
Uno dei nomi più famosi, tra gli artisti di famiglia diversa, che collaborarono con i Cosmati è quello dei Vassalletto di cui si ignora il nome del capostipite, mentre famoso è il figlio Pietro Vassalletto ed il figlio di questi anonimo nel nome.

Sono tutti Cosmati questi artisti?

No, solo la famiglia di Tebaldo Marmorario è da considerare, al completo dei suoi membri, quella a cui riferirsi quando si scrive il nome Cosmati. A ragione di ciò, con il termine cosmatesco, considerato anche nelle sue più generali varianti espressive, coem cosmatesca, cosmatesche, ecc., sono da intendere solo quei particolari monumenti artistici riferibili esclusivamente all'operato dei membri della famiglia di Tebaldo marmoraro e, più specificamente, in mancanza di attribuzioni certe, al periodo che inizia con Lorenzo di Tebaldo dal XII secolo. Personalmente però, ritengo opportuno riferire, ancora più precisamente, un terminus ante quem con il quale definire univocamente l'inizio dell'era cosmatesca, che può essere rappresentato dal 1185, anno in cui il maestro Lorenzo si firmò per la prima volta con suo figlio Iacopo ancora adolescente, su un architrave nella cattedrale di Segni e di cui ci resta il reperto originale conservato nel locale Museo Archeologico; com terminus post quem, io propongo il 1246, che è l'anno della consacrazione dell'Oratorio di San Silvestro presso la basilica dei Santi Quattro Coronati ove si vede un pavimento rimaneggiato, probabilmente deturpato, restaurato varie volte, ma di chiara origine cosmatesca nello stile degli ultimi maestri Cosma e il fratello Luca.
1185-1246 è questo il lasso di tempo a cui riferire l'arte vera e propria cosmatesca in cui splendide opere pavimentali, decorative e architettoniche videro la luce sul territorio Laziale.

Un'arte senza volto

Eppure di tutta questa elevata e particolare espressione artistica non ci resta nemmeno un volto, né scolpito, né raffigurato in qualche documento. Non ci resta nessuna notizia sulle loro vicende familiari, sulla loro vita sul loro carattere e sulle loro disavventure professionali e personali.
Nemmeno un volto e in alcuni casi nemmeno il nome di coloro che hanno fatto brillare la fede per oltre un secolo attraverso quella minuziosa arte dell'opus tessellatum e dell'intarsio in paste vitree ed oro. Se non fosse stato per gli attestati di paternità con i quali ci hanno tramandato almeno i loro nomi, non avremmo mai avuto la possibilità di pronunciare la parola Cosmati, né di conoscere gli artefici di un'arte, quella cosmatesca, che dopo quasi mille anni brilla di luce propria come una stella nel cielo.



Nelle immagini, una porzione delle guilloche (in alto) e il quinconce nella cattedrale di Ferentino
(foto dell'autore).


martedì 18 ottobre 2011

Divagazioni Cosmatesche Romane - Prima parte


Dal 9 al 13 luglio del 2011 ho dedicato cinque giorni della mia esistenza ad una vacanza romana. Volevo farlo da molto tempo, ma qualcosa mi aveva sempre inspiegabilmente trattenuto. Stavolta no, avevo un impegno con me stesso: fare un tour alla riscoperta dei pavimenti cosmateschi romani e delle opere legate agli arredi presbiteriali medievali, magari cno la speranza di trovare qualche piccolo reperto in più meno noto.
Dopo aver fatto lo stesso nell'alta Campania, ora toccava a Roma, la patria dell'arte cosmatesca in generale. La missione aveva un duplice scopo: quello di fare una ricognizione generale (anche se limitata agli itinerari prefissati), verificando effettivamente cosa si vede attualmente nelle basiliche romane e quello di confrontare il tutto con le opere dislocate sull'intero territorio del Lazio.
Ovviamente tutto ciò inteso quale prima campagna di ricerca delle opere cosmatesche, ed in particolare i pavimenti, presenti in Roma nell'intento di studiarle, analizzarle e divulgarle nel mio prossimo libro che mi accingo a scrivere per il 2012.
Gran parte delle opere di arredo e architettoniche sono state già esaminate da alcuni studiosi e in particolar modo dall'architetto Luca Creti in un lavoro che ritengo essere la migliore pubblicazione sull'argomento oggi in Italia e nel Mondo. Il libro si intitola In Marmoris Arte Periti. La Bottega Cosmatesca di Lorenzo tra il XII e il XIII secolo, pubblicato nel 2010 a Roma per le edizioni Quasar. Il volume è la stampa della tesi di dottorato dell'autore che fu preceduta da un altro libretto, sempre a sua firma, dal carattere quasi introduttivo, intitolato I Cosmati a Roma e nel Lazio, in cui viene ripercorsa la storia degli studi, delle scoperte, delle interpretazioni epigrafiche, la cronologia e la genealogia dei Cosmati in un quadro universale più ampio in cui trova posto anche il rapporto dei marmorari romani con le scuole dell'Italia meridionale e un quadro generale storico-artistico di Roma nel XII secolo.
Nella letteratura italiana moderna però, se si eccettua il volume di Dorothy Glass Studies on Cosmatesque Pavements, del 1980, non si hanno altre pubblicazioni specifiche sull'argomento dei pavimenti cosmateschi.
Inoltre, al momento in cui scrivo, esistono vari studi sistematici, o di approccio, alla classificazione e interpretazione dei pattern utilizzati dai Cosmati nei loro pavimenti, mentre la Glass ha tentato di discutere un modus operandi di analisi ed un tentativo di studio iconologico che da una parte si è rivelato efficace, dall'altro fallace in quanto le interpretazioni personali sulla base di elementi stilistici e tipologici alterati dalla storia, può portare spesso a risultati fuorvianti se non addirittura erronei. Valga per tutti il caso dei "pavimenti provinciali" interpretati da Glass come il frutto di artisti minori che tentavano di imitare i Cosmati. A tal proposito si può vedere il mio studio specifico nel libro Le Luminarie della Fede vol. 5, Itinerari d'arte cosmatesca nel basso Lazio, 2011.
Oltre ad un articolo abbastanza datato di Guiglia Guidobaldi e un libretto di itinerari cosmateschi di Enrico Bassan, null'altro si trova attualmente di specifico sui pavimenti romani.
Da queste constatazioni è nata la mia idea di intraprendere una ricerca mirata alla scoperta dei pavimenti cosmateschi di Roma.
Devo premettere che prima di luglio, in più fasi avevo già visitato alcune tra le più importanti basiliche: Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo fuori le Mura, San Clemente, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, Santa Prassede e i SS. Quattro Coronati.
Così, il 9 luglio presi il treno e mi recai a Roma, dove rimasi "ospite" per 5 giorni a casa di mia figlia che studia medicina alla Sapienza (l'affitto della casa lo pagavo io ovviamente! Quindi avevo tutto il diritto di essere ospite di me stesso!).
Il 630 e il 63 erano i miei numeri preferiti, ovvero le circolari che mi portavano ogni mattina alle otto in centro, partendo dai pressi del quartiere Coppedé.
Il programma prevedeva un giro compreso in un cerchio topografico con centro Piazza Venezia e raggio Piazza Navona-Colosseo. Così il primo giorno il tour inizia nel pomeriggio alle 16 dalla Basilica di San Marco al Campidoglio, giusto di fronte al Vittoriano.
Entrati nella chiesa si scorge sul pavimento solo un riquadro , centrale nella navata principale, di dimensioni medio grandi, con un quinconce stilisticamente del tutto precosmatesco. Ricostruito in qualche fase di restauro che ha interessato la chiesa.
Fa un certo effetto entrare in una così importante basilica e trovare solo una esigua traccia dell'antico pavimento cosmatesco di cui era certamente dotata. Così, viene spontaneo chiedersi: ma che fine avrà fatto il resto del pavimento? Una parte, molto bella, è sul presbiterio rialzato, ma la superficie totale di questo non può andare a coprire il vuoto che si vede in quello sottostante al centro della navata. Sarà andato distrutto? O disperso? O trasportato in qualche altro luogo?




Con questi interrogativi esco dalla basilica che inaugura il tour cosmatesco di Roma, per recarmi a quella vicinissima di Santa Maria in Aracoeli. Si attraversa la piazza Venezia, andando verso il lato sinistro del Vittoriano e in pochi minuti si raggiunge la grande scalinata dell'Ara Coeli, ma io preferisco prendere l'ingresso dalla parte del Campidoglio, meno faticoso. Entro e mi trovo di fronte allo spettacolo di una basilica enorme, in cui i visitatori sono dapprima sopraffatti dai colori vivaci, spettroscopici, dei raggi di sole che nel pomeriggio filtrano attraverso il finestrone della facciata andando a creare singolari e mistici effetti cromatici sul pavimento. cco, il pavimento: ancora un vuoto, enorme, in cui curiosamente le partizioni rettangolari che usualmente sono campite con motivi geometrici qui lasciano il posto a lastroni di marmo, mentre le fasce marmoree che in genere fungono da perimetro alle partizioni sono qui decorate a motivi gemetrici cosmateschi! Una idea impensabile al tempo dei Cosmati. Solo una mente di uomo barocco potrebbe aver pensato una cosa simile. Diversamente, sul presbiterio, sempre rialzato, si vede tutt'altra situazione, ma ciò che risalta subito agli occhi è un miscuglio di detriti, reperti, porzioni pavimentali miste che formato un lastricato semi-musivo senza alcun carattere stilistico definito. Un guazzabbuglio barocco, formato da rappezzi di materiale di reimpiego di ogni sorta, dai dischi di porfido di ogni dimensione, interi, frammentari, incompleti, a marmi epigrafici, lapidi tombali e via dicendo. La ricchezza dei reperti, però, è tale da far intendere subito quale possa essere stato lo splendore dell'arredo medievale di questa chiesa. E sto parlando solo del pavimento senza tener conto dei più famosi amboni di Lorenzo e Iacopo che da soli costituiscono un monumento cosmatesco tra i più importanti della capitale.



Quando si crede di aver finito, è l'ora di cercare i "dettagli". Scandagliare la chiesa il meglio possibile, almeno fin dove si può arrivare per l'apertura al publico. Così, scorgo con sorpresa che le cappelle della navata destra (rispetto all'entrata della facciata sulla scalinata dell'Ara Coeli), sono arricchite di pavimentazione cosmatesca.
Perchè le cappelle hanno un pavimento cosmatesco completo e il centro della navata principale no? L'occhio ormai abituato all'opera, allo stile, ai colori, alla foggia, alle tipologie, ai pattern della bottega cosmatesca di Lorenzo, scorge subito un quinconce nella prima cappella che è identico stilisticamente a quello presente nella basilica di San Marco che mi ero lasciato alle spalle poco prima. Ecco dov'è finito il resto del pavimento di San Marco...E' stato trasportato qui, a Santa Maria in Ara Coeli, per abbellire parte di questa chiesa.
Lo stile è inequivocabilmente quello dei Cosmati di Lorenzo, e anche la tipologia dei materiali è quella riscontrata in San Marco. Non vi sono dubbi, almeno per me.
La conferma a questa mia idea è data anche dalla constatazione che le ripartizioni rettangolari attorno al quinconce di questa cappella, sono conformi stilisticamente alla scuola di Lorenzo e quindi non solo il quinconce, ma anche parte delle ripartizioni furoto staccate da San Marco, per essere portate qui all'Ara Coeli e montate insieme come per conservare il tutto nello stile originale.
Il resto del pavimento della chiesa, al centro della navata e nel presbiterio è un misto di stili che può spiegarsi solo in due modi: o la ricostruzione, dal barocco in poi, di tutto il litostrato ha interessato il reimpiego di materiali provenienti da diverse strutture religiose (tra cui la vicina San Marco e forse S. Maria in Via Lata che non ha più il pavimento cosmatesco, come anche Santa Maria Nova dove si ripete il solo quinconce nella navata, ecc.), o in questa chiesa si sono sommate le opere di diverse botteghe di marmorari romani tra cui certamente quella di Lorenzo che si riscontra negli amboni e in diversi reperti pavimentali. Molte sono le tracce che, stando alla tradizione, è facile riscontrare che non appartengono a questa bottega. Esse sono visibili in diversi e molteplici stili di pattern mai usati dai Cosmati laurenziani, ma forse più vicini allo stile dei Ranuccio. Mentre alcune tipologie di tessere, come quelle "gibbose" o a semicerchio, e i relativi disegni geometrici, indicano che anche qui esisteva originariamente un pavimento precosmatesco e dei sicuri rifacimenti cosmateschi del XIII secolo.
La cappella successiva mostra un pavimento "cosmatesco" realizzato con materiale di reimpiego, anch'esso molto probabilmente derivato dalla basilica di San Marco e rimontato nel 1800 alla meno peggio, ma in modo totalmente arbitrario e secondo un gusto e una tecnica degli artefici che in nessun modo poteva avvicinarsi allo spirito dei maestri romani del XII secolo.
In una terza cappella si vede ciò che io credo si tratti di una cospiqua parte del pavimento, forse meglio conservato, preso da San Marco e rimontato qui.
Quindi, n definitiva, in questa chiesa dell'Ara Coeli, si sommano le componenti di almeno due famiglie di artisti marmorari appartenenti a due distinte botteghe. Cronologicamente si potrebbe pensare ad un primo intervento da parte della bottega di Lorenzo, ma forse anche del padre Tebaldo, o insieme, quando fu costruita la primimita chiesa romanica a metà del secolo XII e le tracce del litostrato musico sono riconoscibili negli elementi precosmateschi tipici della botega laurenziana, che ho potuto vedere anche in altri monumenti simili, come il pavimento della chies adi San Nicola a Genazzano, originariamente della basilica di San Giovanni in Laterano. A questa prima chiesa primitiva doveva appartenere anche l'ambone eseguito da Lorenzo e Iacopo.
La storia della chiesa ci dice che i successivi stravolgimenti architettonici si ebbero verso la fine del '200 quando vi entrarono i Francescani, ma sinceramente mi sembra un periodo troppo tardivo per riferirvi gli stili del pavimento musivo che non sembrano essere attribuibili alla bottega di Lorenzo. Ma è difficile stabilire cosa sia potuto accadere al pavimento della chiesa nei momenti delle trasformazioni architettoniche e decorative. Le parti pavimentali di stile diverso da quello di Lorenzo potrebbero anch'esse essere state trasportate da un'altra chiesa al momento dei lavori di trasformazione edilizia e di restauri.
Una chiesa in cui convivono diversi elementi storici e artistici dell'arte cosmatesca che denunciano le infinite trasformazione che il monumento ha subito durante tutti questi secoli.






Basilica di S. Maria in Aracoeli, interno.


Il pavimento della chiesa nella navata centrale


L'ingresso secondario della chiesa


L'ingresso principale, con la lunga scalinata dell'Ara Coeli


Il pavimento sul presbiterio nella basilica di San Marco


Il quinconce al centro della navata in San Marco



La Basilica di San Marco, interno.



Cosmati. Marmorari Magistri Romani - I miei Libri







Questo blog è dedicato agli studi e ricerche di Nicola Severino sull'arte cosmatesca.

Cosmatesco e precosmatesco, una sostanziale differenza.

Spesso, visitando una chiesa medievale, siamo rimasti colpiti dallo splendore di alcuni arredi medievali, come pulpiti, amboni, transenne, troni vescovili, ecc.
In modo particolare siamo rimasti impressionati da quei pavimenti musivi, veri e propri tappeti di pietra colorati, che nel luccichio delle piccole tessere di porfidi e serpentini antichi, sembrano illuminare le buie chiese romaniche e guidare il fedele dall'ingresso fino al presbiterio.
Un'arte, quella del pavimento musivo, che affonda le sue radici nella storia dell'uomo arrivando fino ad almeno l'antichità classica.
L'antico repertorio dell'opus alexandrinum e dell'opus sectile dei Romani, fu interamente ereditato e reinterpretato dai maestri marmorari romani del XII e XIII secolo, ma solo dopo che i suoi primi rappresentanti diffusero quest'arte derivandola dall'insegnamento degli artisti bizantini che l'abate Desiderio chiamò da Costantinopoli tra il 1060 e il 1071 per la decorazione della ricostruita chiesa dell'abbazia di Montecassino.
La scuola di Montecassino quindi fu il tramite della cultura decorativa bizantina che si andò sviluppando nel centro Italia e nel meridione d'Italia. Nonostante siano forti le espressioni stilistiche che possono annoverarsi come sviluppo individuale di "componenti locali" delle botteghe marmorarie romane del XIII secolo, si evince abbondantemente che la tradizione dell'opus sectile pavimentale e decorativa si sviluppò nel centro Italia ad iniziare dalla scuola bizantina operante dell'abbazia di Montecassino fino alla fine del 1071, anno in cui la chiesa venne solennemente consacrata. In seguito, e per colere dell'abate Desiderio, e affinchè tale arte non fosse dimenticata in Italia, venne istituita una scuola apposita presso i monaci cassinesi e presso alcune sedi alle dipendenze di Montecassino, come l'abbazia di S. Liberatore alla Maiella, in cui i maestri bizantini insegnarono la loro arte.
Possiamo immaginare i capostipiti delle botteghe marmorarie romane, come Magister Paulus e Tebaldo Marmorario, i più antichi che si conoscano, operanti a Roma dai primi decenni del XII secolo, frequentare la scuola cassinese e così spiegarci la presenta firmata di Paulus nella cattedrale di Ferentino, e il pavimento dell'antica chiesa di San Pietro nelle rovine di Villa Magna ad Anagni (attribuzione stilistica), mentre lo stile di Tebaldo o del figlio Lorenzo può essere riconosciuto in diverse zone del basso Lazio, come nella maggior parte dei pavimenti precosmateschi di Roma.
Ecco, è spuntata fuori finalmetne la parola chiave: precosmatesco. Che significa?
Fino alla pubblicazione dei miei libri, il termine "precosmatesco" è stato usato in modo rarissimo e solo da qualche studioso (tra cui la dott.ssa Michela Cigola di Cassino), per individuare molto genericamente dei pavimenti musivi in tutto simili a quelli "cosmateschi", ma chiaramente riferibili ad un periodo in cui i veri maestri Cosmati non erano ancora nati. In genere il termine è stato raramente usato per definire il pavimento desideriano della chiesa di Montecassino che è del 1071.
Nei miei studi, ho avuto modo di specificare dettagliatamente la differenza tra i pavimenti "precosmateschi" e quelli "cosmateschi" per una constatazione molto semplice.
La maggior parte degli articoli (anche se rari) che accennano o studiano i pavimenti musivi medievali di Roma, parlano indistintamente di "pavimenti cosmateschi".
Qualcuno più attento, ha finalmente notato che in molti casi almeno una parte dei pavimenti definiti cosmateschi di Roma, sono in realtà riferibili ad un'epoca precedente, cioè in un periodo che può essere compreso almeno tra la metà e gli ultimi decenni del XII secolo. Cosa strana però, tali pavimenti mostrano una parte più antica e un'altra (in genere quella centrale, presso la navata mediana) più "moderna" riferibile all'epoca cosmatesca: come si spiega?
Una risposta a questa domanda non era ancora arrivata fino alla pubblicazione dei miei volumi.
La messa in opera dei pavimenti musivi da pate delle botteghe marmorarie romane può farsi iniziare con il papato di Pasquale II e i suoi successori, durante il quale furono realizzati i primi pavimenti precosmateschi all'epoca della consacrazione e/o riconsacrazione delle chiese e basiliche romane, fino all'apice del pavimento cosmatesco sotto il papato di Innocenzo III, principale committente dei maestri Cosmati Lorenzo, Iacopo, Cosma, Iacopo alter e Luca, cmprendendo un periodo di attività che possiamo definire vero e proprio cosmatesco compreso negli anni del papato di Innocenzo III, cioè tra il 1198 e 1216. Tale periodo, ovviamente è da modellare in base agli eventi. Credo che possano considerarsi cosmateschi anche i lavori effettuati da Lorenzo e Iacopo in giovane età nel basso Lazio e a Roma ad iniziare da quelli firmati nella cattedrale di Segni nel 1185. Ed è proprio questa data, incisa sulla lunga lastra di marmo conservata nel Museo Archeologico di Segni, che io vorrei riconoscere come terminus ante quem del periodo vero e proprio "cosmatesco", e come terminus post quem del periodo "precosmatesco".
Questa importante e basilare distinzione permette di distinguere stilisticamente le opere pavimentali prodotte a Roma e nel Patrimonium Sancti Petri tra il 1120 e il 1180 e di distinguere così, stilisticamente e cronologicamente, quanto attualmente si può vedere nelle facies dei litostrati delle basiliche romane. Principalmente si dare una spiegazione alle diversità tipologiche e stilistiche che si osservano tra le zone laterali e le fasce centrali.
Da quanto detto e supposto, viene da se ipotizzare che i maestri Cosmati, tra la fine del XII secolo e i primi decenni del XIII secolo, ebbero incarichi non solo di realizzare nuove opere, pavimentali e decorative, ma anche e soprattutto di restaurare quelle già esistenti!
E' questa, presumibilmente, la ragione per cui oggi coesistono tali differenze nei pavimenti cosmateschi di Roma. Lasciate intatte o minimamente ritoccate le zone laterali, come le lunghe file di ripartizioni rettangolari nelle navate minori, i Cosmati ebbero l'incarico di restaurare e ridefinire soprattutto le fasce centrali. Non sappiamo se essi le restaurarono solamente lasciando i disegni originari o se, molto più probabilmente, le ridisegnarono ex novo, secondo il loro nuovo stile cosmatesco.

I modelli certificati cosmateschi

Attualmente esistono solo due pavimenti "certificati" cosmateschi, cioè atribuiti ai maestri Cosmati per via documentale storica o direttamente, in modo inequivocabile, per essere firmati dagli stessi artisti. Questi due monumenti di primaria importanza si trovano uno nella cattedrale di Ferentino, attribuito per via documentale al maestro Iacopo di Lorenzo e datato attorno al 1204; il secondo si trova nella cattedrale di Anagni e consiste di due pavimenti, uno nella basilica superiore, overo nella chiesa, e l'altro nella basilica inferiore, o cripta di San Magno. In particolare, su un gradino del primo altare si firmarono gli artisti Cosma, con i figli Iacopo e Luca senza omettere la data del 1231, costituendo di fatto l'unico pavimento cosmatesco datato dagli stessi artisti!

E' ovvio che questi due monumenti devono per forza essere presi come il modello principale a cui riferirsi per ogni eventuale confronto storico, tipologico, stilistico e via dicendo. A questi per esempio, si avvicina per le affinità stilistiche riscontrate anche dalla studiosa Dorothy Glass nel 1980, il pavimento della cattedrale di Civita Castellana, attribuito agli stessi maestri Cosmati, sebbene non firmato. A questo ho avvicinato il riscoperto pavimento cosmatesco della chiesa di San Pietro in Vineis ad Anagni, disperso in varie chiese del luogo. Tenendo presente i dettagli di questi due pavimenti, si può tentare di riconoscere lo stile, i modi, la tecnica, il gusto degli stessi artisti in pavimenti altrimenti difficilmente riconducibili a delle famiglie di marmorari.
Senza volerlo, solo perchè essi sono i due pavimenti cosmateschi più vicini alla mia residenza, ho iniziato il mio percorso di studio e analisi di questi monumenti proprio da quelli accertati, approdando in seguito agli altri con la possibilità di una continua analisi tenendo presente i dettagli di quelli originali.
In questo nuovo modus operandi si è sviluppata la mia ricerca storico-documentale dei pavimenti cosmateschi ed in questo modo ho avuto la possibilità di dire forse qualcosa di nuovo rispetto alla letteratura, davvero scarna, oggi esistente sull'argomento.

I miei libri

Da ciò è nata l'esigenza di scrivere e rapportare tutte le mie scoperte in una serie che ho voluto intitolare "ARTE COSMATESCA" e che nel giro di un anno mi ha portato alla pubblicazione di ben 6 volumi di cui si può vedere la copertina nelle immagini proposte.
Gli interessati possono vedere le anteprime dei volumi ai seguenti indirizzi:

http://ilmiolibro.kataweb.it/categorie.asp?act=ricerca&genere=tutte&searchInput=cosmatesca&scelgoricerca=in_vetrina

http://ilmiolibro.kataweb.it/categorie.asp?act=ricerca&genere=tutte&searchInput=luminarie&scelgoricerca=in_vetrina