venerdì 25 novembre 2011

Il pavimento cosmatesco del Duomo di Salerno

Il nuovo libro di Nicola Severino


Alla luce di nuove ipotesi storiche ed analisi stilistiche.

Il pavimento cosmatesco del Duomo di Salerno è un monumento complesso, integrato nello spettacolare arredo liturgico musivo dei pulpiti e delle tribune. Esso però ha destato l'attenzione di pochi studiosi fino ad oggi, tra cui si evidenziano i nomi di Arturo Carucci per gli arredi e Antonio Braca per il pavimento. Mancava ancora una analisi approfondita del pavimento dal punto di vista "cosmatesco" che, integrata alle fondamentali notizie storiche prodotte dagli autori precedenti, è quanto viene illustrato in questo volume dall'autore, alla luce di nuove interessanti ipotesi sulla cronologia, l'assetto, la tipologia, lo stato conservativo e le caratteristiche di "pavimento cosmatesco". Le sorprese non mancano e lo studio correrà il rischio di sorprendere anche gli studiosi, oltre che i lettori curiosi.
Vedi l'anteprima su:

http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=664809

venerdì 18 novembre 2011

DIARIO COSMATESCO


DIARIO COSMATESCO

Ovvero biografia delle mie ricerche sull’arte cosmatesca

Ferentino. Cattedrale. Serie di guilloche cosmatesche (foto N. Severino)

Nel 2009 iniziai un “itinerario fotografico” degli affreschi medievali più importanti, cercando di prediligere quelli meno conosciuti, che si trovano sul territorio della media e bassa Ciociaria. Avevo escluso gli affreschi di Anagni, per esempio, non solo perché i più rinomati, ma anche per la notevole distanza da Cassino che avevo scelto come centro di un ipotetico cerchio dal raggio geografico limitato al basso Lazio.

Un giorno, giunto nella piccola chiesetta di Santa Maria Maggiore, nella vallata di Sant’Elia Fiumerapido, mi trovai dinanzi ad un meraviglioso ciclo di affreschi votivi e ad un raro esempio di altare dipinto attorno al quale si estendeva una modesta ma significativa porzione di un pavimento costituito da tessere marmoree colorate e disposte a formare dei bizzarri motivi geometrici. Il libro di Giulia Orofino, Affreschi in Val Comino e nel Cassinate, che fino ad allora avevo preso come “palinsesto” del mio itinerario, descrivendo tali opere definiva il pavimento “cosmatesco”. Era la prima volta che leggevo quel termine e mi catturò subito. Dopo pochi giorni la parola continuava a ronzare nella mia testa e volevo saperne di più, ma scoprii che i riferimenti letterari sull’argomento erano di difficilissimo reperimento. Per fortuna, lo stesso libro di Orofino conteneva un esauriente capitolo sull’argomento, curato da Michela Cigola. Scoprii così, ancora una volta, che la storia di quei monumenti musivi iniziava da Montecassino, da quell’abbazia che vedo e saluto ogni giorno andando al lavoro a Cassino. Quelle mura tante volte ricostruite che dall’alto del suo monte sovrasta la vallata del Liri contrastando e superando la nebbia e le nuvole.

Come sempre accade in questi casi, ci deve essere qualcuno, un amico, un collaboratore, una persona casuale, che ti spiana la strada e ti apre le porte alla ricerca. Questa persona è subentrata casualmente, ma come per destino, in questa storia a causa dei suoi rapporti di lavoro con il mio ufficio, scoprendo insieme la comune passione per la gnomonica e per i pavimenti cosmateschi.

Arturo Gallozzi, ingegnere, professore all’Università di Cassino e collaboratore della prof.ssa Michela Cigola, un giorno venne a trovarmi, portandomi, su mia richiesta, qualche carta che potesse aiutarmi a saperne di più sull’argomento dei Cosmati. Si trattava di un malloppo di almeno due chilogrammi di carta che comprendeva note personali scritte da lui stesso, articoli ed estratti da libri e riviste, tra cui l’importantissima ed introvabile catalogazione dei pattern cosmateschi fatta da Piazzesi e Mancini nel 1950!

Devo dire che senza questo straordinario contributo non so se avrei potuto affrontare le ricerche e gli scritti che ne sono derivati con la completezza di informazioni dovuta ad una così importante mole di documenti.

Oltre all’aiuto ricevuto da Gallozzi, con il quale ho poi intrattenuto sempre un reciproco scambio di opinioni in merito, di confronti e suggerimenti che mi hanno notevolmente arricchito culturalmente, la possibilità di trovare una buona parte di documentazione digitale in internet è stata un’altra fortunata occasione, direi provvidenziale. Attraverso il web ho potuto consultare alcune principali opere, come quelle di Camillo Boito, di G.Battista De Rossi, di Gustavo Giovannoni, di Clausse, Mathiae, oltre che numerosi articoli di valenti studiosi e voci enciclopediche.

Un’altra fase di queste ricerche documentali l’ho svolta nella Biblioteca Monumento Nazionale dell’Abbazia di Montecassino, dove sono di casa almeno dal 1990. Nonostante non abbia trovato l’opera più specifica di Dorothy Glass, Studies on Cosmatesque pavements, la cui assenza mi ha tormentato fino al luglio del 2011, quando ne ho potuto avere una parte da una giovane collaboratrice laureanda in architettura, nella biblioteca benedettina ho potuto consultare le fondamentali opere di Emile Bertaux, con gli aggiornamenti di Anna Carotti per le zone geografiche di mio interesse; il famoso libro The Cosmati, di Hutton, il volume sui marmorari romani di Bessone-Aureli, importanti articoli che si trovano in riviste specializzate come la Benedictina, Napoli Nobilissima, il Bollettino d’Arte, ecc., nonché la grande Enciclopedia della Storia dell’Arte Medievale.

Per gli aggiornamenti e gli approfondimenti di alcuni particolari capitoli di questa cultura a me sconosciuta fino all’estate del 2010, mi sono avvalso della fondamentale opera dell’architetto Luca Creti, In Marmoris Arte Periti: la bottega cosmatesca di Lorenzo tra il XII e il XIII secolo, pubblicata nel 2010; di un suo volumetto uscito otto anni prima, nel 2002, dal titolo I Cosmati a Roma e nel Lazio, che può definirsi una introduzione al libro principale, e il libretto di Enrico Bassan Itinerari Cosmateschi: Lazio e dintorni, pubblicato nel 2006.

Con questa piccola biblioteca alla mano, iniziai la mia avventura cosmatesca, alla scoperta dei monumenti noti e meno noti.

Essendo di origini campane, più precisamente nativo di Sparanise, un piccolo borgo agricolo in piena terra di lavoro, senza una storia medievale importante e monumenti normanni, a 24 chilometri a nord di Caserta e a quindici dalle rive del Tirreno presso Mondragone, rimasi perlomeno stupefatto nell’apprendere che intorno al mio paese vi erano giunti, alla ricerca degli stessi monumenti che ora interessavano me, personaggi come Bertaux ed altri studiosi.

Teano, Sessa Aurunca, Carinola, Calvi Risorta, Capua, Aversa, Caserta Vecchia…tutti paesi che per me avevano rappresentato fino ad allora solo dei confini geografici con la mia realtà quotidiana di cittadino sparanisano, all’oscuro delle bellezze storico-artistiche che avevo a due passi, divennero ad un tratto l’irresistibile meta delle mie nuove ricerche e la personale rivincita culturale sull’ignoranza cui ero stato abituato da piccolo in un ambiente ostile ai libri e alla cultura. Mi resi subito conto che le opere cosmatesche esistenti sul territorio dell’alta Campania erano state appena citate da Bertaux e Anna Carotti, mentre mancava uno studio analitico approfondito dei singoli monumenti, specialmente per quanto riguarda un censimento completo e uno studio comparativo delle opere campane con quelle del basso Lazio ed i possibili rapporti tra i marmorari meridionali e laziali.

Alla fine di agosto del 2010, iniziai il mio tour alla ricerca delle opere cosmateche nel basso Lazio e nell’alta Campania. I risultati sono stati raccolti nei cinque volumi fondamentali che ho pubblicato di recente aprendo una “Collana di Arte Cosmatesca”:

1) La cattedrale di Ferentino, in cui esamino uno dei più importanti pavimenti cosmateschi pervenutici ed attribuito con fonti documentali storiche accertate al maestro Iacopo di Lorenzo. Insieme al litostrato ho dato uno sguardo anche all’importante arredo liturgico costituito soprattutto dal notevole ciborio firmato da Drudo De Trivio;

2 La cattedrale di Anagni, in cui esamino gli altri due pavimenti, quello della basilica superiore e quello della cripta di San magno, firmato da Cosma e Luca, figli di Iacopo, che insieme a quello di Ferentino costituiscono, a mio sapere, i tre pavimenti cosmateschi più importanti del mondo in quanto sono gli unici ad essere attribuiti con certezza, uno documentale, l’altro grazie alle firme incise sul gradino della cripta, ai maestri Cosmati. E sono forse tra i pochi pavimenti ad essere arrivati a noi sostanzialmente nella struttura ed organicità del disegno unitario come fu concepito in origine dai maestri marmorari romani. La gran parte dei pavimenti di Roma e del Lazio, infatti, sono stati tutti smantellati e ricostruiti in modo arbitrario, sconvolgendo e destrutturando in modo definitivo l’originario disegno comatesco; insieme al pavimento, esamino anche i numerosi reperti che fanno del Museo Lapidario della cattedrale uno dei più ricchi al mondo di reperti architettonici e di arredi liturgici medievali.

3) Il pavimento cosmatesco della chiesa di San Pietro in Vineis ad Anagni. Questo è una mia scoperta, nel senso che essendo il pavimento quasi completamente sconosciuto alla letteratura cosmatesca antica e moderna, non solo l’ho riesaminato sulla base dei reperti oggi visibili, ma ho tentato una ricostruzione cronologica, una analisi stilistica che grazie al confronto con i vicini pavimenti della cattedrale, mi ha permesso di stabilire una accertata attribuzione alla bottega di Lorenzo;

4) Le Luminarie della fede: itinerari cosmateschi nell’alta Campania. In questo volume ho descritto e analizzato tutti i reperti che ho trovato nei luoghi citati in precedenza, scoprendo molte cose interessanti;

5) Le luminarie della fede: itinerari cosmateschi nel basso Lazio. Il proseguimento del volume precedente riguarda il censimento e descrizione delle opere che ho trovato sul territorio del basso Lazio ed anche qui le sorprese non sono certo mancate;

6) Il pavimento precosmatesco della Basilica di Montecassino. In realtà questo volume, che copre in formato A4 oltre 250 pagine, è uno dei primi che ho scritto essendo partito dallo studio del pavimento della chiesa abbaziale di Montecassino per cercare di capire di suoi derivati che ho poi visto nelle regioni limitrofe. Il volume è in attesa di pubblicazione da parte dell’Abbazia di Montecassino.

7) I pavimenti precosmateschi dell’Abbazia di San Vincenzo al Volturno. Questo studio specifico potrebbe essere compreso nel volume su Montecassino o pubblicato a parte;

8) Pisa Cosmatesca. Uno studio analitico dei pavimenti che si trovano nel Duomo e nel Battistero di Pisa;

9) Il pavimento cosmatesco del Duomo di Salerno. E’ l’ultimo mio lavoro, alla data di oggi, 18 novembre 2011.

Su quest’ultimo c’è da dire che non sono molti gli studi dedicati al monumento musivo salernitano. Tutti hanno trattato più o meno in dettaglio dei mosaici degli arredi, ma pochi hanno speso qualche parola per il notevole pavimento cosmatesco. Lo stesso Bertaux sembra non averne fatto alcun cenno, nonostante abbia dedicato molto spazio invece agli arredi del Duomo. Arturo Carucci e soprattutto Antonio Braca hanno colmato il vuoto lasciato fino a pochi anni fa, ma entrambi non hanno fatto una analisi specifica dal punto di vista dell’arte cosmatesca, attenendosi principalmente alla ricostruzione di una cronologia storica e di possibili ipotesi circa l’iconografia e l’iconologia del litostrato musivo. Mancava una analisi specifica che mettesse a confronto i singoli dettagli del pavimento con le lunghe e diverse vicende storiche a cui esso è legato e con gli altri pavimenti coevi. Tutto ciò, basando le mie ipotesi alla luce dell’esperienza acquisita nel corso delle numerose analisi dei pavimenti esistenti nelle più importanti chiese di Roma, del Lazio meridionale e dell’alta Campania.

Dal 9 al 13 luglio del 2011, ho impegnato cinque dei miei giorni di vacanze estive per visitare 28 chiese romane ed i suoi relativi monumenti cosmateschi. La grande mole di dati fotografici raccolta sarò l’oggetto del mio nuovo lavoro di analisi sui pavimenti cosmateschi di Roma per sfatare leggende e raccontare una realtà che non sempre è stata intesa come tale.


Minturno. Duomo di San Pietro, Pulpito (foto N. Severino)


giovedì 17 novembre 2011

Componenti romane e meridionali nei lavori cosmateschi: riflessioni.

Componenti romane e meridionali nei lavori cosmateschi: riflessioni.

Negli anni 2010 e 2011 ho effettuato diversi viaggi nel Lazio e in Campania alla ricerca dei monumenti dell’arte cosmatesca. Ne ho trovati tanti, conosciuti e meno conosciuti. Ne ho studiato la storia, lo stile, la tipologia e li ho confrontati tra loro e con quelli prodotti da diverse maestranze di marmorari. In questo lungo itinerario cosmatesco ho visto la graduale differenza tra gli stili delle varie opere, assaporando lentamente il passaggio tra le relative componenti stilistiche di maggiore spicco, come quella romana, e quella più trasgressiva, bizzarra, libertina, degli artisti dell’Italia meridionale. In una certa area geografica, posso dire di aver avuto modo di osservare anche una sorta di fusione tra le due culture, probabile segno della necessità, o della volontà dei singoli artisti di travalicare il proprio confine artistico e culturale; oppure di eseguire semplicemente dei lavori ordinati da importanti committenti, magari con la libertà di fondere il proprio linguaggio artistico con quello di diversa provenienza, ed eventualmente assorbirne gli elementi essenziali.

Nei lavori in cui si cercano le radici delle componenti stilistiche dei marmorari medievali, inevitabilmente si riconduce il discorso alle origini del mosaico pavimentale, ricordando che i Romani erano grandi estimatori dei pavimenti marmorei in tutti gli stili musivi, dall’opus alexandrinum, all’opus sectile. E che i Bizantini furono i grandi eredi di quella cultura che fusero con le loro tradizioni cristiane, tramandando l’arte del mosaico all’occidente cristiano per il tramite della scuola istituita dall’abate Desiderio nel 1071, dopo la consacrazione della chiesa dell’abbazia di Montecassino.

La riflessione che vorrei fare in queste pagine, invece, riguarda solo il periodo che produsse l’arte del pavimento musivo dopo la scuola bizantina di Montecassino e le possibili influenze che i suoi discepoli, romani, laziali e meridionali, ebbero a scambiarsi nel corso di tutto il XII secolo.

In particolare, vorrei qui tentare di rispondere ad una domanda ben precisa: se è dimostrato dai monumenti che in alcuni luoghi del lazio meridionale, e probabilmente anche nella stessa Roma, come anche in alcune chiese importanti della Campania, e in Sicilia, si riscontrano tracce, a volte deboli a volte significative, di questo scambio culturale, di quella fusione di componenti stilistiche romane e meridionali, sì che appaiono evidenti se non interventi diretti dei marmorari romani, di certo quello di allievi delle loro botteghe, insieme a quelli di maestranze siculo-campane, quale fu la causa di quella che sembra una brusca interruzione di questo interscambio artistico a partire certamente dal 1200 in poi?

Cattedrale di Terracina. Forti componente stilistica meridionale nel pavimento

Cattedrale di Terracina. Forte componente stilistica romana nel pavimento

Prima di rispondere, tento di cercare almeno alcune testimonianze che possano giustificare la formulazione dell’ipotesi che sta alla base della domanda: cioè dove sono riscontrabili le tracce che testimoniano in modo abbastanza certo una fusione degli stilemi e collaborazioni tra le scuole romane e meridionali.

Tra gli esempi più significativi che mi vengono in mente, ricordo:

- il pavimento della cattedrale di Terracina, dove ho riscontrato chiare tracce dell’arte cosmatesca vera e propria, da me attribuite alla bottega di Lorenzo, che convivono pacificamente con innumerevoli componenti delle scuole meridionali, in particolar modo quelle campane;

- il pulpito del duomo di Fondi, realizzato da un marmoraro romano e le poche tracce del pavimento precosmatesco del battistero del duomo;

- il campanile e il pavimento cosmatesco recentemente ritrovato nel duomo di Gaeta, il primo realizzato da Nicola d’Angelo, il secondo attribuibile ancora alla bottega di Lorenzo, probabilmente a Iacopo;

- il duomo di Segni dove collaborarono non solo i Cosmati Lorenzo e Iacopo insieme ai Vassalletto, ma anche maestranze campane, come testimoniano i plutei oggi conservati nella cappella di San Bruno;

- il portale dell’abbazia cistercense di Fossanova, che testimonia probabilmente forse una delle ultime “incursioni” di artisti marmorari romani nel basso Lazio;

- il pavimento della chiesa di San Menna a Sant’Agata dei Goti dove si osservano cospicue tracce di chiara scuola cosmatesca laurenziana;

- il pavimento del duomo di Salerno che è forse il caso più interessante che assorbe le influenze di ben tre distinte scuole musive: quella cassinese e quella siculo-campana che sono le componenti più forti e ampi tratti di quella romana.

Se si esclude il portale dell’abbazia di Fossanova, realizzato nel 1200, il resto delle opere summenzionate furono tutte realizzate tra il 1130 e il 1185. Come si vede chiaramente il breve elenco precedente non contempla casi che possano testimoniare una significativa fusione tra gli stilemi romani e meridionali riferibili ad una data posteriore al 1185: come mai?

Perché a partire da questa data risulta quasi impossibile trovare dei riferimenti che testimoniano quello che invece dovette essere, nei decenni precedenti, un intenso scambio di arte e cultura tra gli artisti romani e meridionali?


Sant’Agata dei Goti. Chiesa di San Menna. Tracce stilistiche campane (sopra) e romane ( in basso).

Una traccia storica significativa che possa iniziare a illuminarci su una risposta a questa domanda è quella che ci indica un evento della storia del meridione normanno talmente importante da aver potuto influenzare negativamente il felice interscambio culturale.

Come si sa, le opere precosmatesche furono realizzate a Roma e nel Lazio principalmente sotto il papato di Pasquale II e l’influenza delle potenti committenze religiose governavano pienamente le scelte delle botteghe marmorarie romane. Infatti, la più significativa collaborazione tra un papa e una bottega di marmorari a Roma, è testimoniata storicamente dalle committenze di Papa Innocenzo III e i Cosmati Iacopo e figli. Chiunque era nemico del Papa, era simbolicamente nemico anche dei marmorari romani che appoggiavano pienamente il pontefice artisticamente e politicamente.

Se ciò è vero, allora l’avvenimento della morte dell’imperatore Guglielmo II di Sicilia, avvenuta nel 1186 deve considerarsi un evento che può aver influito in modo fortemente negativo sui rapporti di interscambio culturale tra le scuole romane e meridionali. Infatti alla morte Guglielmo II, il vescovo Gualtiero si oppose al Papa, schierandosi a favore della candidature a re di Enrico VI con sua moglie Costanza d’Altavilla, mentre il Cancelliere reale si alleò con il Papa e sostenne Tancredi che divenne re dal 1190 al 1194.

Questi eventi potrebbero aver influito negativamente sulle possibilità che i marmorari romani potessero avere delle committenze nell’Italia meridionale e continuare così quello scambio di influenze che era alla base dell’assorbimento da una parte e dall’altra di quelle componenti stilistiche romane e siculo-arabe che fino ad allora avevano prodotto monumenti grandiosi dell’arte, come le decorazioni della Cappella Palatina a Palermo, o il pavimento del duomo di Salerno, e via dicendo.

A causa dei contrasti tra il Papa e il vescovo Gualtiero, i monumenti musivi saranno realizzati a partire dal 1186 a Roma, come nel Lazio dalle maestranze laziali, attenendosi rigidamente alla tradizione classica romana, eludendo totalmente ogni forma stilistica estranea di influenza meridionale.

mercoledì 2 novembre 2011

ROMANO OPERE ET MAESTRIA

Osservando le opere dei Cosmati, in particolare i disegni geometrici dei pavimenti, è d'uopo domandarsi quali siano le origini dell'arte cosmatesca. L'argomento andrebbe prima di tutto sviluppato su diversi livelli, come quello storico-artistico, ma anche architettonico. Infatti, bisogna precisare che se la scuola di marmorari romani conosciuta poi come Cosmati, fu rappresentativa soprattutto degli sviluppi e delle realizzazioni degli arredi liturgici, come cibori, amboni, tabernacoli, pavimenti, ecc., tuttavia essa costituisce di fatto anche un primo e forte riferimento agli sviluppi dell'architettura esterna. Qualche studioso parla di architettura "bidimensionale" per non coinvolgere l'operato di alcuni di questi architetti nella grande fabbrica degli edifici architettonici medievali a tre dimensioni. In parte è così, ma opere come il chiostro di S. Giovanni in Laterano o, di più, il campanile del duomo di Gaeta, possono testimoniare che i magistri doctissimi non erano solo dei semplici decoratori e mosaicisti, ma dei veri e propri architetti, con tutto il carico di preparazione teorica e pratica che a quel tempo era richiesto. E' con la presenza delle loro botteghe romane che si ha una rinascita della scuola di scultori di marmo, un addestramento che era andato sempre più a scomparire durante l'alto medioevo, il tutto certamente favorito dalla rennovatio romana che vide protagonista la risistemazione ed ornamentazione di tutte le basiliche paleocristiane di Roma e di gran parte delle cattedrali del Patrimonium Sancti Petri.

Gli studiosi sono ancora di pareri discordanti nell'attribuire ai maestri Cosmati le capacità proprie di architetti responsabili di studi progettuali di opere complete di grandi dimensioni e questo probabilmente perchè essi stessi si firmano sempre e solo su "accessori" decorativi, compreso chiostri, portici, portali, ecc.). Tuttavia molte delle loro opere vanno ben al di la della semplice micro architettura decorativa.

Per quanto riguarda le origini e il significato delle loro opere, bisogna tener conto che essi derivavano la loro arte e le loro conoscenze dal mondo Antico. Tali sono le derivazioni della gran parte delle simbologie e disegni geometrici delle pavimentazioni come anche delle decorazioni di arredi. Non si può parlare di una vera e propria autonomia compositiva stilistica, in quanto la maggior parte dei patterns utilizzati sono stati ripresi dall'antico e dalla scuola bizantina precosmatesca, ma le loro capacità di rendere moderno il linguaggio dei simboli antichi e di adattarlo in modo molto personale e stilisticamente proprio dell'arte delle botteghe dei marmorari romani, ne fanno un capitolo a parte della storia dell'arte. Così, molte delle invenzioni dell'arte cosmatesca, sono proprie delle capacità espressive e di adattamento alle esigenze liturgiche richieste dalle committenze religiose. Ciò che noi oggi vediamo come un qualcosa di statico, che è sempre stato li in quel modo, come le tipologie degli amboni e le loro posizioni, la vicinanza del candelabro per il cero pasquale, le inocostàsi, le cattedre vescovili e i cibori, per non parlare dei pavimenti, sono invece tutte soluzioni che i Cosmati hanno studiato per soddisfare le esigenze richieste tra architettura dell'arredo e le funzioni liturgiche.

Per esempio, nelle cattedre vescovili, il dossale e la ruota di porfido che corrisponde all'altezza della testa del sedente, rappresenta la Santità del Papa e i piccoli leoni posti per braccioli simboleggiano il potere imperiale sottolineando così, alcuni importanti significati storici del periodo in cui l'arredo era stato effettuato, in questo caso nel periodo precedente la stipula del concordato di Worms. In altre cattedre vescovili di epoca posteriore si scorgono dettagli decorativi che hanno simbologie e significati diversi, come nella cattedra della chiesa di San Saba, fatta sotto il pontificato di Innocenzo III, il clipeo con la croce palmata evidenzia il ruolo del papa come Vicario di Cristo, evidenziando l'origine divina del suo potere quale successore di San Pietro. In tal modo, l'arte cosmatesca è al servizio delle esigenze religiose, realizzando arredi e decorazioni in funzione delle simbologie e significati politici del tempo in cui essi operavano.

I pavimenti musivi rispecchiano lo stesso sistema, ma sviluppandosi su grandi superfici, essi risultano assai più intrisi di significati simbolico-religiosi. Tra le funzioni principali dei pavimenti cosmateschi è senz'altro quella di sottolineare una perfetta simmetria bilaterale dell'edificio, prendendo come costante l'attraversamento della navata centrale attraverso una fascia che è destinata a guidare il fedele attraverso il suo lento cammino verso il presbiterio. Attorno alla fascia centrale, si realizzano molteplici partizioni rettangolari che, spesso, servono anche per correggere visivamente eventuali asimmetrie delle superfici sulle quali sono distribuite le navate. Generalmente il pavimento inizia fin dall'ingresso, appena oltrepassato il portale con il quale, secondo alcuni studiosi, avrebbe una stretta relazione realizzando così una fusione tra la chiesa e l'ambiente circostante.

"La forma generale dei litostrati è correlata alla cerimonia di consacrazione della chiesa: i grandi motivi centrali, in cui va forse individuata una citazione della rota porfiretica del pavimento della basilica di San Pietro, vanno probabilmente interpretati come dei luoghi di sosta, delle stazioni obbligate durante lo svolgimento dei riti religiosi. Immaginati nella loro situazione originaria, con la luce delle fiaccole o delle finestre che incide sulla superficie scabra delle tessere policrome creando suggestivi giochi di luce e di ombra, forniscono un'idea dell'importanza compositiva e liturgica degli elementi naturali nel tardo Medioevo e, in particolare, nell'architettura cosmatesca, che di questi fattori fa largamente uso nelle proprie manifestazioni artistiche" (Tratto da Luca Creti, In Marmoris arte periti, Quasar, 2010, pag. 13).

Ma il significato generale da attribuire ai pavimenti cosmateschi e alle decorazioni degli arredi liturgici, nasce dalla fusione dei concetti filosofici, religiosi e matematici del tempo in cui vissero i marmorari romani. Concetti che però furono evidentemente già sfruttati dai maestri di Costantinopoli ed insegnati nelle scuole istituite dall'Abate Desiderio a Montecassino. I Cosmati ne ereditano la cultura e la maestria nel rinnovarli e metterli in pratica nelle loro nuove realizzazioni. Senza troppo addentrarci in un argomento vasto che esula da questa semplice presentazione, diremo che il significato dell'opus sectile cosmatesco sta nel rafforzare costantemente i concetti medievali di "ritmo e proporzione", come espressi nei pensieri di Ugo da San Vittore. Un sincretismo di pensieri che, con l'esaltazione della scienza esatta, avvicinava l'uomo a Dio attraverso la perfezione del suo creato. Concetti filosofici sostenuti già da Pitagora e ripresi da Sant' Agostino che dava ai numeri un ruolo cosmologico, mentre il mio grande concittadino San Tommaso d'Aquino, sosteneva che l'aritmetica era lo strumento che avrebbe consentito all'uomo di riconoscere l'arte del Creatore. Gli sviluppi della matematica, derivati soprattutto dagli astronomi arabi, insieme ai concetti filosofici di armonia espressi dai massimi autori dell'epoca come Adelardo di Bath, Guglielmo di Conches ecc., offriranno la piattaforma su cui costruire il concetto di arte cosmatesca e, più in generale, le grandi cattedrali attraverso i procedimenti di controllo delle proporzioni.

Tutto ciò si legge nei pavimenti cosmateschi, nel ritmo inarrestabile ed incalzante delle direzioni indicate dalle infinite celle le quali ospitano le minuscole tessere musive marmoree che tutte insieme creano simmetria ed armonia e singolarmente non significano nulla. Simboli grafici si alternano a decine di disegni geometrici in una varietà di colori che lascia stupefatti. Il simboli del fiore, del triangolo, le stelle ottagonali, gli esagoni inscritti, alcune figure geometriche che si riproducono in miniatura per autosomiglianza (triangolo di Sierpinski), l'uso inconsapevole quindi della geometria frattale, la simmetria policroma e geometrica, sono tutti elementi rispondenti alle esigenze che un pavimento cosmatesco richiede. C'è anche chi ha visto nell'uso delle tessere marmoree dei risvolti di numerologia, come un'attenzione particolare ai numeri primi e in alcune proporzioni che porterebbero con insistenza al numero aureo.

Come i maestri bizantini che lavorarono a Montecassino prendendo come campionario di decorazione esempi tratti dai codici manoscritti miniati, anche i Cosmati si rifacevano ad opere come i bestiari da cui traevano spunti per le loro decorazioni zoomorfe, cogliendo l'istitno e il carattere di ciascun animale, sia reale che immaginario, convertendoli in chiave simbolica: "così l'aquila svolge una importante funzione apotropaica dall'alto, in particolare sui portali e nei poggioli degli amboni...mentre i leoni, i grifi e le sfingi, fiere guardiane per eccellenza, sono collocati lateralmente alle porte di accesso... nonché nei candelabri per il cero pasquale e nei braccioli delle cattedre vescovili" (Luca Creti, op. cit. pag. 219).

Tuttavia, nei pavimenti propriamente cosmateschi, l'uso di figure zoomorfe è quasi del tutto assente, mentre diventa una componente caratteristica principale nelle maestranze campane e dell'Italia meridionale.

Il sapiente uso delle forme e dimensioni delle tessere marmoree e della disposizione simmetrica dei colori nei disegni geometrici, risaltano le proprietà della luce del pavimento cosmatesco che ne forma un elemento architettonico unico nel suo genere. Che venga illuminato di giorno dalla tenue luce bianca delle bifore alte delle navate o da fiaccole di sera, una tale soluzione cattura sempre l'attenzione del fedele che si appresta al suo cammino verso l'altare. I Cosmati adottarono appositamente la soluzione secondo la quale le partizioni rettangolari grandi o piccole che si estendono lungo le navale laterali e verso l'ingresso della chiesa, sono formate da tessere di grandezza maggiore secondo disegni geometrici non troppo intricati e di ampio respiro, come per introdurre il fedele verso la zona centrale. Ma nella fascia che corre lungo la navata centrale verso il presbiterio, si ha non solo l'uso ripetitivo di guilloche e quinconce, ma vengono adottati disegni geometrici sempre più fitti dal simbolismo molto accentuato. Le tessere si fanno sempre più minuscole come in un mosaico decorativo e l'uso di colori come il giallo oro, viene evidenziato specie nelle soluzioni di continuità tra un disegno e l'altro, come le fasce che avvolgono le rotae dei quinconce. L'uso del porfido verde e rosso, quest'ultimo simbolo dei sacrifici di sangue dei martiri cristiani e dell'oro quale simbolo del sole, del divino e della perfezione, si fa sempre più insistente, attirando immancabilmente l'attenzione di chi percorre la fascia verso l'altare.

Tutto ciò mirabilmente realizzato seguendo decine di schemi geometrici disposti in simmetria tra loro. Non sappiamo di preciso quanti fossero in totale questi schemi utilizzati dai Cosmati, ma si suppone che siano forse qualche centinaio, se si considera che nel solo pavimento del duomo di Ferentino si arriva tranquillamente ad una sessantina. Certamente molti dei più importanti di questi patterns geometrici si ripetono anche altrove. Attraverso l'insistente uso di alcuni di essi in particolare, a volte è possibile fare accostamenti stilistici e ipotizzare delle attribuzioni, come è stato fatto in alcuni casi per magister Paulus o per la famiglia Ranuccio, o per la bottega di Lorenzo, ecc.

Ma principalmente, i Cosmati utilizzavano dei campionari base, seguendo alcune regole precise.

Sopra esempi di tessitura ad quadratum

Tessitura ad triangulum

Sotto: Tessitura mista (circolare, poligonale, ecc.) ( tessere a goccia, rotonde, a stella...)

Molti dei disegni geometrici vengono realizzati componendo un puzzle di minuscole tessere triangolari, di solito equilateri. In, tal modo, per esempio, si scompone un quadrato in quattro triangoli (01), oppure si scompone un triangolo in figure triangolari autosimili (02), oppure si fa una fascia con triangoli opposti alla base (04). Lo stesso lavoro può esser fatto con piccole tessere quadrate, oppure esagonali, scomponendo l'immagine iniziale di un esagono (03) e via dicendo. Piccole tessere triangolari, di solito bianche, sono impiegate per un disegno geometrico tra i più utilizzati, che raffigura una stella con al centro un quadrato inscritto in un quadrato diagonale (01).

01 02 03 04

Tessere triangolari scalene (05) sono impiegate spesso nelle fasce circolari delle rotae porfiretiche delle guilloche e dei quinconce, mentre tessere a forma di losanga romboidale (07), rotonde e ovali oblunge (06) sono usate per formare disegni geometrici a stella, specie nelle decorazione degli arredi, e come riempimento nei dischi di porfido. Un repertorio molto vario e sapientemente organizzato secondo precise regole geometriche, simboliche e religiose.

05 06 07

Nell'arco di questi studi, è stato possibile verificare e dedurre che la maggior parte degli schemi geometrici utilizzati dai Cosmati, come anche nei pavimenti pre-cosmateschi, sono stati ripresi in modo identico prima dai modelli pavimentali in opus sectile delle ville dislocate in tutto l'Impero Romano, poi da quelli di epoca bizantina i quali forse maggiore influsso hanno avuto sugli artefici dell'arte precosmatesca in Italia. Per quanto riguarda, quindi, le opere pavimentali, i Cosmati si può dire che hanno quasi esclusivamente apportato solo delle piccole varianti, mentre ciò che ha maggiormente determinato il loro "gusto" o stile, è il fatto di aver sapientemente lavorato in modo più minuzioso gli stessi patterns, riproponendoli in una versione, diciamo così, più minuta, con scomposizioni in elementi minori delle figure autosimili, e raggiungendo un livello di perfezione, anche grazie alle raffinate tecniche di intaglio delle tessere marmoree, che forse prima non era stato visto, specie nell'applicazione degli stessi criteri alle decorazioni più eleganti e delicate degli arredi liturgici, dove essi si distinsero davvero, per qualità artistica e inventiva.

Le numerose scoperte, dagli anni '80 ad oggi, di siti archeologici dell'Impero Romano e nell'aria dell'antica Costantinopoli, sono motivo di grande stupore per gli studiosi dell'arte cosmatesca che si trovano, così, di fronte a opere pavimentali che presentano in modo inequivocabile non pochi elementi stilistici, ma buona parte del repertorio geometrico utilizzato dai Cosmati, a dimostrazione di una quasi completa eredità stilistica e artistica dei maestri marmorari romani e dell'Italia meridionale, come quella del mosaico pavimentale, che solo qualche decennio fa era appena riconoscibile grazie solo a qualche raro esempio dell'antichità (basti per questo ricordare i pochissimi esempi della pur approfondita ricerca in merito svolta da Don Angelo Pantoni, monaco dell'Abbazia di Montecassino nella seconda metà del '900, a cui dobbiamo gran parte degli studi sul pavimento antico del monastero cassinese e di quello dell'abbazia di San Vincenzo al Volturno).

Un utile approfondimento sulla derivazione dei motivi geometrici dalle opere pavimentali antiche, è in fase di preparazione e sarà pubblicato nel libro che sto scrivendo sull'arte cosmatesca nel Basso Lazio e Alta Campania.

L'avventura

L'AVVENTURA

Se si vuole, questa pagina può essere interpretata come una piccola biografia dell'avventura cosmatesca in quale mi sono imbattuto ad iniziare dalla fine di agosto del 2010.

L'evoluzione delle ricerche serrate, condotte a ritmo frenetico fino ad oggi, è caratterizzata da alcuni elementi che credo possano definirsi alquanto singolari. La letteratura nazionale e mondiale sulla storia dei Cosmati, ma più genericamente dei marmorari Romani, come anche quelli dell'Italia Meridionale, conta forse meno di una dozzina di opere di rilievo e qualche decina di articoli che furono scritti ad iniziare dalla metà del XIX secolo ad oggi. Più numerosi sono certamente gli stralci ed articoli inclusi in opere enciclopediche, dizionari, opere generiche sull'arte, sull'architettura e sulla storia medievale, ma i libri importanti sull'argomento si contano sulle dita di una mano sola! Per questo basti pensare che in tempi moderni sono stati pubblicati in Italia solo tre libri specifici! Enrico Bassan ne ha pubblicato uno nel 2006, Itinerari Cosmateschi: Lazio e dintorni, e l'architetto Luca Creti, ha pubblicato in due volumi il materiale della sua tesi di laurea: I Cosmati a Roma e nel Lazio, nel 2002 e In Marmoris Arte Periti, nel 2010. A questi sono seguiti i miei cinque libri, scritti nell'arco di un solo anno: settembre 2010-settembre 2011! Il che potrebbe non deporre a mio favore: ma come, in appena un anno 5 libri? In realtà essi rappresentano il risultato di una prima analisi dell'enorme mole di materiale accumulato mese dopo mese, a partire dal settembre del 2011.

La storia conosciuta dei Cosmati è sempre la stessa. Può cambiare di poco, a seconda delle scoperte, rarissime, che ogni tanto si fanno in nuovi ritrovamenti che possono arricchire la scarna cronologia storica della loro vita artistica. Ma le loro opere possono essere viste, studiate ed interpretate in diverso modo. La cosiddetta "architettura cosmatesca", è stata studiata ed analizzata in modo dettagliato e completo dall'arch. Luca Creti nel libro citato sopra, mentre per l'interpretazione, l'analisi e la storia dei pavimenti cosmateschi vi è un solo testo di riferimento: quello di Dorothy Glass, Studies on Cosmatesque Pavements, pubblicato come tesi di laurea nel 1980. Un testo raro, fuori stampa, che si trova solo in due o tre biblioteche in Italia. Il piccolo libretto di Bassan, invece, è una utile guida per chi voglia seguire l'itinerario proposto, ma le notizie sui pavimenti sono sempre molto poche e le analisi si riconducono semplicemente a sintetizzare in poche parole il pensiero di altri autori che in passato si sono occupato dell'argomento. Così, i pochi riferimenti che ho potuto avere nel corso delle mie indagini cosmatesche sono stati i commenti di Anna Carotti e di altri autori all'opera di aggiornamento del celebre libro di Emile Bertaux, L'art dans l'Italie Meridionale, e le poche citazioni di Bassan, nonché alcune linee guida di Creti per quanto riguarda i pavimenti cosmateschi di Ferentino e Anagni (a tal proposito devo ricordare che Creti ha svolto il grosso del lavoro su uno dei monumenti cosmateschi più importanti oggi esistente, cioè il duomo di Civita Castellana di cui al momento non mi sono ancora occupato).

Una parte del libro di Glass mi è arrivato grazie ad una dott.ssa laureanda in architettura interessata al mio lavoro di ricerca sui monumenti cosmateschi di Anagni. Il libro, incompleto, mi è giunto dopo dieci mesi dall'inizio della mia avventura, in un momento di felice transizione da uno stadio iniziale ancora in fase di sviluppo, a quello in cui sarebbero maturate nuove idee che ho potuto verificare proprio grazie al libro della Glass. Data l'importanza dell'opera, citata praticamente da tutti gli autori che si sono occupati di questo argomento dal 1980 in avanti, ho cercato in ogni modo di contattare l'autrice, Glass, pensando che dovesse essere ancora in vita. Infatti, dopo alcuni tentativi, la rintracciai all'Università americana in cui ancora insegna. Grande però fu la delusione, quando seppi che non aveva modo di aiutarmi nelle mie ricerche perchè era ormai da trent'anni che non si occupava più dell'argomento! Così, non mi rimaneva altro che il testo del suo libro.

Intanto, per dieci mesi, prima di conoscere l'opera di Glass, avevo fotografato ed analizzato le opere cosmatesche più importanti che si trovavano nelle immediate vicinanze del mio paese di residenza, Roccasecca. Come in molti altri casi, anche io, all'inizio della mia avventura, ho avuto la fortuna di conoscere una persona speciale il cui aiuto è stato determinante per il buon proseguimento delle mie ricerche: l'architetto Arturo Gallozzi di Cassino che mi ha omaggiato di qualche chilogrammo di preziosa carta fotocopiata di numerosi stralci e articoli, alcuni introvabili, sulla materia, grazie ai quali ho potuto facilmente fare confronti, trovare spunti e redigere i testi dei miei articoli. Tuttavia, sui pavimenti cosmateschi, il libro di Glass rimaneva sempre l'unica opera di riferimento. Così fino al 13 luglio del 2011, ho sviluppato inconsapevolmente il mio metodo di studio e analisi o, se si vuole, il mio personale modus operandi, che alla fine si è rivelato non solo prezioso, ma innovativo, probabilmente proprio perchè nato dal nulla e sviluppatosi sulla scorta della sola esperienza personale. In realtà, non sapevo come procedere. Non vi era un metodo. Non esiste un metodo generale basato su regole matematiche per analizzare i pavimenti cosmateschi. Tutto ciò che ho fatto è stato fotografare ogni dettaglio per analizzare il tutto sullo schermo del computer a forte ingrandimento. La prima conseguenza positiva di questo metodo è stata quella di osservare particolari che nel buio delle chiese e delle cripte erano impossibili da vedere.

Lo studio dei pavimenti cosmateschi di Ferentino e Anagni fu sviluppato da me quasi contemporaneamente ai resti del pavimento desideriano di Montecassino e a quelli dell'alta Campania. All'inizio ho creduto di dover fotografare i dettagli di ogni singolo pattern geometrico dei rettangoli che compongono il pavimento nelle navate laterali e in quella centrale, al fine di poter stilare un repertorio generale dei motivi geometrici dei Cosmati, e più in generale dei marmorari laziali e campani. Alcuni autori, tra cui A. Piazzesi, V. Mancini, L. Benevolo, Una statistica del repertorio geometrico dei Cosmati, in “Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura”, V, 1954, hanno lavorato in tal senso pubblicando un valido schedario di tali motivi geometrici. Dopo pochi mesi, però sono giunto alla conclusione che tale sforzo non riveste un significato particolare per due ragioni: la prima è data dal fatto che nella maggior parte dei casi i pannelli pavimentali sono stati distrutti e ricostruiti, spesso in modo del tutto arbitrario e sommario, nelle epoche successive e ciò costituisce una delle note fondamentali da tenere sempre a conto quando si parla dei pavimenti cosmateschi; la seconda è che tali motivi si ripetono in modo abbastanza usuale e monotono in quasi tutti i pavimenti analizzati. Inoltre, il repertorio geometrico dei pavimenti cosmateschi, non è altro che una ripetizione del repertorio geometrico dell'opus alexandrinum e dell'opus sectile dell'antichità, dai Romani ai Bizantini, dai quali i Cosmati attinsero in modo pressoché totale il loro linguaggio geometrico, incorporandolo nella loro arte e trasformandolo in espressività dalle caratteristiche più autonome, stilisticamente parlando, nella sola caratteristica di riproporre tale repertorio in scomposizioni estremamente più minute, sia per la realizzazione dei pavimenti che degli arredi religiosi.

Le prime volte, quindi, mi sono trovato ad analizzare decine e decine di patterns geometrici creando apposite tabelle che ne riproponevano i motivi confrontandoli con quelli di altri pavimenti. Certamente il confronto più significativo è stato quello tra i patterns dei pavimenti realmente cosmateschi (Ferentino-Anagni), con quello capostipite della basilica di Montecassino e, di riflesso, con quelli che da quest'ultimo derivano stilisticamente (Capua, Sessa, Caserta Vecchia, S. Agata dei Goti...). In appresso, ho smesso di considerare la catalogazione dei patterns dei pavimenti che visitavo in virtù del fatto che molti di questi erano stati ricostruiti e quindi non aveva senso considerare originali dei monumenti frutto della composizione arbitraria di manodopera postuma. Pian piano si andava facendo strada nelle mie esperienze l'idea che i pavimenti cosmateschi non raccontavano la loro storia con sincerità. Cioè voglio dire che essi non si presentano a noi oggi così come furono concepiti realmente nella mente degli artisti Cosmati dell'epoca. Questo per il semplice fatto che non esiste al mondo un arredo ed un pavimento cosmatesco che non sia stato distrutto, manomesso, rimaneggiati, ricostruito, totalmente o in parte, nelle epoche successive al Gotico, specie nel Barocco, con una moda particolare alla ricostruzione e reimpiego di ciò che rimaneva dei veri pavimenti cosmateschi al solo scopo di abbellire le chiese barocche, nella prima metà del XVIII secolo. Questa idea che pian piano si andava sempre più rafforzando e chiarendo nella mia testa, trovava la sua più alta conferma nella constatazione che la maggior parte dei monumenti musivi di Roma e del Lazio presentano esattamente le caratteristiche dovute agli sconvolgimenti a cui essi andarono incontro.

Non che gli altri autori non si fossero accorti o che non avessero fatto caso a quanto sto dicendo. Solo che essi non hanno ben valutato questi eventi di portata storica eccezionale e ciò che hanno significato per i pavimenti cosmateschi a danno della loro storia e del loro studio. La Glass stessa si è accorta che a Roma solo un paio di pavimenti cosmateschi possono essere effettivamente considerati abbastanza vicini a come erano in origine stati concepiti, tuttavia con la riserva degli immancabili restauri, ritocchi, ecc. Uno di questi è il pavimento della basilica dei Santi Quattro Coronati che tuttavia presenta nella sua unitarietà caratteristiche che lasciano supporre una storia più o meno comune agli altri monumenti simili (si veda per esempio l'incongruenza del pavimento nel presbiterio con quello della navata centrale). Nonostante ciò, la Glass non si esime dallo scrivere lunghi paragrafi sull'iconologia dei pavimenti cosmateschi, senza rendersi conto di descrivere simbologie, geometrie, rapporti proporzionali, significati e regole su monumenti che ormai nulla più hanno a che fare con quelli concepiti dai Cosmati. Solo si può intuire, avvicinarsi, presumere, supporre che i maestri romani facessero determinate scelte, ma certamente ha poco senso stare a misurare un quinconce gigante precosmatesco realizzato presumibilmente verso la metà del XII secolo e rapportarlo a quelli più normali di pavimenti cosmateschi eseguiti più di mezzo secolo dopo. L'architetto Luca Creti, autore del bellissimo libro sopra citato In Marmoris Arte Periti, in cui tratta quasi esclusivamente dell'architettura cosmatesca, descrive una misura proporzionale in un pannello pavimentale della chiesa superiore nella cattedrale di Anagni, trovando auree proporzioni geometriche in una figura che nella realtà non esiste. Infatti, il riquadro pavimentale da lui disegnato non corrisponde al reale in quanto nella misura è compreso il largo listello di marmo esterno creato e messo in quel luogo arbitrariamente, come tutto il pannello pavimentale, nel momento in cui quel tratto di pavimentazione fu ricostruito nelle epoche successive.

Queste constatazioni, mi hanno portato innanzitutto a distinguere e focalizzare due periodi specifici e precisi per lo sviluppo dell'arte cosmatesca: il periodo precosmatesco, iniziale, che inizia da Montecassino fino allo sviluppo delle autonomie locali romane e campane, e il periodo cosmatesco che inizia dall'ultimo decennio del XII secolo fino alla metà del XIII in cui i maestri Cosmati della famiglia di Tebaldo e Lorenzo, insieme ad altre botteghe di grande prestigio come i Vassalletto, si distinsero per aver creato quello stile autonomo, seppure derivato dalla classicità antica, che sta alla base della grande produzione cosmatesca dei primi decenni del XIII secolo.

Conseguenza di ciò, è stato che visitando le basiliche romane, mi fu subito chiaro ciò che per gli altri è rimasto sempre un mistero: la coesistenza inspiegabile nella maggior parte dei pavimenti cosmateschi di Roma, di elementi antichi e meno antichi, di componenti stilistiche precosmatesche e più propriamente cosmatesche. Mi era chiaro che i pavimenti di Roma erano stati eseguiti in tempo per le consacrazioni delle relative basiliche, consacrazioni avvenute tutte entro il XII secolo, dai tempi di Papa Pasquale II. Cosa fecero allora i Cosmati nelle chiese di Roma? Nella maggior parte dei casi il loro intervento, sempre su commissione, dovette essere quello di restauro, manutenzione e rifacimento dei pavimenti già esistenti e per vari motivi (incendi, guerre, usura...) in cattivo stato di conservazione. In altre basiliche, ho potuto vedere, laddove non vi è una cronologia testimoniata e verificata da iscrizioni lapidarie o da documentazione storica, la continuazione dello stile di una determinata bottega. In particolare nei Santi Quattro Coronati, ho la forte sensazione che il pavimento sia stato inizialmente realizzato da Lorenzo di Tebaldo, mentre a Iacopo suo figlio, sia stato commissionato un restauro e ai figli Cosma e Luca o forse al solo Luca, la realizzazione del piccolo pavimento dell'Oratorio di San Silvestro nel medesimo complesso religioso, dove si può avere come termine ante quem la data del 1247 in cui l'Oratorio venne consacrato e che andrebbe a costituire cronologicamente l'ultimo lavoro dell'ultimo componente della famiglia dei Cosmati.

E' ancora attuale, perchè ho contestato in mancanza di prove più determinanti, la datazione (erronea secondo me) al VI secolo del pavimento in opus sectile della basilica di Santa Maria Antiqua a Roma. Ne ho discusso in dettaglio con il restauratore del Ministero dei Beni Culturali senza peraltro avere prove determinanti in merito. In mancanza di tali prove, i pochi lacerti pavimentali in opus sectile che sono esattametne identici per stile, caratteristiche tipologiche e di esecuzione alle porzioni simili di pavimento cosmatesco della basilica di San Clemente a Roma, sono, secondo quanto ho potuto constatare dai soli documenti cartacei a mia disposizione e in bianco e nero, da considerarsi opera pavimentale cosmatesca eseguita tra la fine del XII e i primi anni del XIII secolo. Ad oggi non ho avuto ancora un riscontro che dimostri in modo inequivocabile la non validità della mia tesi. A questo si aggiunga che il vero pavimento del VI secolo, ovvero ciò che rimane degli altri strati di litostrato della basilica di S. Maria Antiqua, sono quelli che si rendono in modo evidente del VI secolo.

Questo nuovo modus operandi personalizzato, sviluppatosi da una sorta di forza d'intuito analitico-pratica del modo di osservare le caratteristiche dei pavimenti cosmateschi, mi ha permesso di fare le importanti distinzioni di cui ho detto sopra, e di emendare ipotesi e luoghi comuni inevitabili quando si tenti di descrivere monumenti artistici di cui non si sa nulla. E' ancora la Glass ad essere caduta in errore nelle descrizioni e valutazioni del pavimento della chiesa di San Nicola a Genazzano, ma più genericamente nella distinzione e analisi dei pavimenti che lei stessa definisce "provinciali" per via di caratteristiche non sa spiegare e che invece derivano essenzialmente dalle constatazioni che ho fatto sopra. Il caso emblematico di San Nicola a Genazzano è il più palese di tutti: un pavimento costruito arbitrariamente nel 1426 per volere di papa Martino V, facendo trasportare una piccola parte del pavimento forse originale dell'antico litostrato precosmatesco della basilica di San Giovanni in Laterano, nell'occasione di rifare il pavimento completo, e considerato dalla Glass come il risultato dell'arte povera degli artisti provinciali che volevano imitare i Cosmati romani.

Tali scoperte mi hanno consentito di essere più coraggioso nelle mie interpretazioni e di cercare di guardare ben oltre il solito oltraggio restauratore dell'epoca barocca. Intere porzioni di pavimento furono smantellate e trasportate altrove per ricostruire o abbellire i pavimenti di altre chiese, così come accadde anche per i poveri resti degli arredi religiosi di cui molti plutei di amboni e lastre di transenne presbiteriali sono andati a formare improbabili paliotti d'altare. Così, ho scoperto che ad Anagni, ben due pavimenti "cosmateschi" presenti attualmente in due chiese, di cui una romanica di origine e l'altra barocca, non sono altro che porzioni di pavimento prelevate da quello originale che formava il litostrato della chiesa di S. Pietro in Vineis.

Alla fine del percorso nel basso Lazio che ho completato da pochi giorni, sono giunto alla conclusione che i tre pavimenti cosmateschi presenti in Ciociaria, cioè quello della cattedrale di Ferentino e i due litostrati nella chiesa superiore e nella cripta della cattedrale di Anagni, costituiscono i due monumenti fondamentali più importanti esistenti in Italia per quanto riguarda i pavimenti cosmateschi. Essi, infatti, sono i soli pavimenti accertati di cui quello di Ferentino attestato da documentazione storica e quello della cripta della cattedrale di Anagni è il solo al mondo firmato e datato dai veri Cosmati!! Nonostante essi siano oggi il frutto di rifacimenti parziali, restauri e rimaneggiamenti, tali monumenti costituiscono per noi il modello principale di riferimento al quale è necessario rapportare ogni eventuale confronto, paragone, analisi e descrizione di altri pavimenti cosmateschi di incerta attribuzione.