lunedì 24 ottobre 2011

I Cosmati, i micromodelli e il lessico dei motivi

Quando visitiamo una chiesa che ha un pavimento cosmatesco, il nostro stesso passo, per quanto lento, è troppo veloce perchè i ricchi disegni geometrici realizzati in opus sectile e opus tessellatum possano essere analizzati nei dettagli dai nostri occhi. In realtà siamo subito catturati dalla bellezza estetica accompagnata da quel senso di smarrimento che una tale ricchezza di geometria e colori produce nella nostra anima e ci sfugge, in quell'attimo, l'intelligibilità del lavoro stesso che è sotto i nostri piedi a raccontarci una storia millenaria fatta di amore, fede e arte.
Doveva essere talmente naturale nell'XI, XII e XIII secolo quell'arte che il cronista cassinese Leone Ostiense definì quadrataria et musivaria, che non si sentiva il bisogno di scrivere trattati specifici che ne spiegassero le tecniche. Così, nulla ci è giunto di scritto che potesse descriverci il significato, i motivi e "come facevano" gli artefici per la realizzazione dei pavimenti a mosaico in opus sectile. Grazie a questo missing book medievale, si è sviluppata solo a partire dalla metà del XIX secolo e fino ad oggi, quella che potremmo definire una corrente di critica artistica specifica che riguarda proprio la produzione musiva pavimentale e decorativa la quale ebbe i suoi probabili fondamenti medievali nella ricostruita chiesa abbaziale di Montecassino, per irradiarsi poi nell'Italia centro meridionale attraverso una scuola specifica istituita proprio dall'abate Desiderio, approfittando della presenza degli artisti bizantini da lui chiamati a decorare la chiesa del suo monastero.
In mancanza di documentazione storico-scientifica che spiegasse i significati e le tecniche adoperate dalle botteghe di marmorari campane, laziali e meridionali, gli autori si sono adoperati per cercare di estrapolare le maggiori informazioni possibili desunte sulla base delle analisi stilistiche dei reperti giunti fino a noi.
Se Leone Ostiense non avesse redatto la cronaca di Montecassino e senza la necessaria cronologia e genealogia degli artisti, letta dagli studiosi su quel libro di pietra che è l'epigrafia diligentemente raccolta e interpretata fino ad oggi, probabilmente non staremmo neppure qui a discutere di questo argomento, dato che forse avremmo potuto giusto essere in grado solo di distinguere lo stile siculo-arabo da quello romano. Senza le tracce epigrafiche non potremmo parlare di un Magister Paulus e dei suoi figli che diedero vita alla bottega dei Cosmati...così come di tutti gli altri artisti che operarono sul territorio laziale e campano, affiancati a volte dai maestri romani.

Se, quindi, da una parte abbiamo avuto fortuna nell'ereditare dalla storia un patrimonio artistico del quale si è potuto tracciare una cronologia, identificare buona parte degli artefici che lo produssero e classificare i singoli reperti in funzione degli stili e modus operandi di ciascuno dei maestri, dall'altra non possiamo dire altrettanto per quanto riguarda una produzione documentale che possa aiutarci nello studio interpretativo, nell'indagare i significati, le tecniche e la vita quotidiana di coloro che furono i protagonisti di quest'arte medievale.

E' piuttosto recente e relativamente scarsa la letteratura specifica pubblicata in merito alle indagini iconologiche e tecniche dell'arte musiva che generalmente definiamo cosmatesca, con particolare riferimento ai pavimenti in opus sectile e opus tessellatum realizzati tra l'XI e il XIII secolo.

Più in modo specifico, per quanto riguarda uno studio analitico dei pavimenti cosmateschi dell'area laziale, campana e dell'Italia meridionale, le pubblicazioni sono davvero esigue e solo in due o tre casi gli autori hanno pubblicato dei lavori rilevanti riguardanti la classificazione, catalogazione, spiegazione e le tecniche utilizzate dai Cosmati e dai marmorari in generale per la produzione delle opere pavimentali musive.
In tal senso si sono mossi in tempi relativamente recenti F. Guidobaldi e Alessandra Guiglia Guidobaldi, mentre è del 2009 uno dei lavori più importanti sull'opus sectile in riferimento all'arte musiva normanna nell'Italia meridionale, fatto da Ruggero Longo.
Tuttavia, manca ancora oggi un'adeguata lessicalizzazione dei motivi ornamentali delle opere cosmatesche, nonostante sia stata effettuata una giusta interpretazione e classificazione dei motivi geometrici che si possono vedere. Ruggero Longo ha analizzato a fondo le problematiche relative ai motivi geometrici, definendo e distinguendo, sulla base degli studi effettuati anche da autori del passato, il micromodello, il modulo, il motivo, il pattern e l'ornamento.
Nonostante tutto, però, analizzando le varie soluzioni, anche Longo giunge alla conclusione che "un motivo o pattern non può essere definito né attraverso il modulo né attraverso il reticolo geometrico". Questo perchè il modulo semplice che forma il motivo o pattern può essere interpretato dai nostri occhi a seconda di come lo si guarda, a seconda degli effetti cromatici e dalla grandezza della superficie su cui è composto.
In sostanza, dice Longo, esiste un piano, cioè la superficie su cui realizzare il mosaico che va intesa come una intelaiatura in cui a seconda della tessitura che scompone il piano, viene a formarsi la regola per ottenere i micromodelli a partire dai quali si possono avere i modelli semplici, il pattern e il motivo decoratore.
Per i pattern semplici sono state trvate delle definizioni lessicali fin dall'antichità: per esempio, il motivo ad quadratum e il motivo ad triangulum, indicano il primo le sequenze in tessitura orizzontale di quadrati disposti alternativamente paralleli alla tessitura e in diagonale; il secondo una tessitura di linee parallele disposte a 60° con la linea base orizzontale e intrecciate nei due sensi opposti, i cui intrecci vanno a formare esagoni e triangoli.
Tuttavia, il ricco repertorio dei motivi geometrici utilizzati dai Cosmati non ha un suo lessico proprio per mezzo del quale possiamo univocamente definire ogni singolo pattern o modello base.
La famosa "stella cosmatesca" di cui ho parlato diverse volte e che si è soliti incontrare nelle opere dei Cosmati, sia nelle decorazioni degli arredi che nei pavimenti (un esempio classico è la decorazione che corre lungo il perimetro del chiostro della basilica dei Santi Quattro Coronati a Roma) non è altrimenti definibile perchè per descriverla in dettaglio bisognerebbe dire "motivo composto da tre file sovrapposte di tre quadrati di cui i quattro esterni scuri o colorati, quello centrale chiaro e i quattro quadrati centrali scomposti ciascuno in quattro triangoli uniti al vertice". Se prodotto in miniatura esso può essere un micromodello, se prodotto a dimensioni grandi, come nell'opus sectile di ville romane, esso diventa un pattern, se reiterato intersecandosi con il successivo, produce un altro effetto ecc., ma in ogni caso, visto da una certa distanza, l'immagine che coglie il nostro occhio è quello di una stella a otto punte. Basta variare i colori per ottenere un effetto diverso.
Altri pattern producono dei motivi geoemtrici di grande effetto visivo ma che non sono definibili attraverso una immagine comune, semplice da identificare: è il caso dei quadrati inscritti in cui varia solo il loro orientamento rispetto alle linee di tessitura, oppure alle sequenze di tessere quadrate e rettangolari, ecc.
A tal proposito Longo scrive: "avendo colto l'ambiguità e la mutevolezza precipua del lessico, nell'impossibilità di classificare le unità modulari, non resta che catalogare il modello di disegno, il pattern, così come avviene nei repertori grafici elaborati e compilati da Blanchard e Prundhomme".
Ma se la descrizione classifica il modello, essa non ci lascia immaginare come si presenta ai nostri occhi il disegno del motivo geometrico e perciò inefficace a "definire" in parole l'immagine che l'intento dell'artista vuole trasmettere, anche perchè esiste sempre l'ambiguità che il motivo si presenta agli occhi in modi diversi a seconda della prospettiva visiva e dei colori delle tessere.
In definitiva, si può tentare di classificare e catalogare il modello secondo un lessico che richiama la regola per comporlo, ma non descriverlo in modo univoco per l'effetto visivo che esso produce, mutevole, ingannevole, ambiguo, probabilmente intenzionalmente creato in tal modo per produrre l'effetto di smarrimento di chi lo osserva.


Fig. 1. Tratto di decorazione cosmatesca nel chiostro della basilica dei SS. Quattro Coronati a Roma. In questo caso è possibile osservare il micromodello da cui possono svilupparsi altri pattern e il motivo decorativo. Un quadrato orizzontale inscritto in un quadrato diagonale a sua volta inscritto in un quadrato orizzontale che fa da superficie. Segue un primo tipo di "stella cosmatesca" dove un quadrato di base è suddiviso in 9 quadrati di cui 4 scomposti in triangoli. La scelta cromatica determina la figura del modello che viene percepita dagli occhi: una stella a otto punte. In questo modello può variare l'orientamento del quadrato centrale (come nell'esempio che segue la stella seguente a otto punte fatte di losanghe) e la possibilità di intersecare il modello con altri simili.


Fig. 2. SS. Quattro Coronati, Roma. Chiesa, pavimento interno della navata. Motivo denominato storicamente ad triangulum in cui la forma della griglia di scomposizione del piano della superficie determina il modello, ma, come è facile intuire e verificare, non è possibile definire univocamente a parole il motivo geometrico che percepisce l'occhio, mutevole a seconda di come lo si guarda.
Ingrandito così, potrebbe risaltare la forma degli esagoni uniformi, mentre ad una certa distanza ciò che l'occhio percepisce maggiormente è una sequenza di stelle esagonali determinate dalle punte dei piccoli triangoli scomposti. La griglia può mostrare alla visione porzioni autosimili di triangoli che contengono gli esagoni e i piccoli triangoli di cui solo la scomposizione di questi ultimi non dipende dalla griglia di superficie.
Tutto ciò, quindi, non è dovuto ad una costruzione diretta del motivo geometrico, ma solo il risultato della scomposizione del piano di superficie in una griglia di linee che formano un angolo di 60° con la linea base orizzontale e che si intersecano a eguali distanze nei due versi opposti di orientamento. Tale griglia, determina da sola sia la forma degli esagoni che dei triangoli scomposti. Come risulta evidente può risultare quanto meno ambiguo cercare di definire o catalogare questo modello attraverso una descrizione lessicale descrittiva. E' inutile per esempio dire "motivo di esagoni e triangoli", oppure "motivo di esagoni che formano stelle esagonali...", che senza osservarlo direttamente non si capirebbe cosa si vuole intendere. L'unica classificazione possibile è quindi relativa alle caratteristiche della griglia che determina il modello.

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